Nel contesto delle professioni educative e formative, sempre più segnato da sfide complesse, mutevoli e interconnesse, emerge con forza la necessità di ripensare i dispositivi formativi, ampliando il repertorio di strumenti capaci di sostenere lo sviluppo professionale in chiave riflessiva, critica e creativa. Il contributo si propone di esplorare il ruolo dei linguaggi visivi e artistici nella costruzione di dispositivi riflessivi, in particolare all’interno di percorsi di formazione e ricerca rivolti a professionisti dell’educazione. Negli ultimi decenni, la letteratura pedagogica e le scienze sociali hanno sottolineato il valore degli approcci visuali e artistici nel cogliere la complessità dell’esperienza educativa (Harper, 2012). Tali approcci si rivelano particolarmente adatti ad accedere a dimensioni dell’esperienza che sfuggono a una lettura unicamente logico-discorsiva, contribuendo a restituire la natura situata, plurale e dinamica dei processi formativi. L’esperienza educativa è infatti profondamente intrecciata al vissuto dei soggetti e ai contesti nei quali si realizza. È un fenomeno non standardizzabile, radicato nel mondo della vita (Dahlberg et al., 2008). Tale dinamicità richiede lo sforzo di immaginare strategie creative e complesse (Sullivan, 2010) per documentare (Biffi, 2014) e indagare il lavoro educativo e necessita di dispositivi capaci di valorizzarne le sfumature, i significati impliciti e le risonanze affettive. L’inserimento dei linguaggi artistici nei percorsi formativi rappresenta, in definitiva, una sfida epistemologica: significa riconoscere che la professionalità educativa si costruisce anche attraverso dimensioni simboliche, estetiche e relazionali. In questo senso, i linguaggi visuali e artistici agiscono come pratiche di cura del pensiero e dell’esperienza, offrendo al professionista occasioni per abitare consapevolmente la propria azione, in un equilibrio dinamico tra tradizione pedagogica e ricerca di nuove forme del fare e dell’essere professionisti dell’educazione. Il contributo si conclude con alcune riflessioni nate da esperienze di formazione e ricerca condotte con professionisti dell’educazione, al fine di evidenziare da un lato la potenzialità trasformativa di questi linguaggi (Wood, 2015), dall’altro l’importanza di un’attenta riflessione metodologica ed etica sul loro impiego (Warr et al, 2016). Verrà fatto riferimento a pratiche come il photovoice (Wang & Burris, 1997), la costruzione di mappe vissute (Gabb, 2008), il collage (Butler-Kisber, 2008; Biffi et al., 2019) e le moodboard (Velasquez-Posada, 2019; Spawforth-Jones, 2021), intese come modalità di indagine e di espressione che coinvolgono le dimensioni corporee, emotive e simboliche. Si tratta, in ultima analisi, di riconoscerne il valore generativo all’interno dei processi formativi, in quanto capaci di aprire spazi di risonanza tra vissuti e pratiche e di ridefinizione del senso del proprio agire educativo.
Ratotti, M., Carriera, L. (2025). Linguaggi visuali e artistici nei processi formativi: strumenti riflessivi per il professionista educativo. Intervento presentato a: Convegno nazionale SIPed 2025. La qualità della formazione come responsabilità sociale. Prospettive di ricerca, modelli pedagogici, pratiche educative e didattiche tra tradizione e innovazione, Parma.
Linguaggi visuali e artistici nei processi formativi: strumenti riflessivi per il professionista educativo
Ratotti, M
;Carriera, L
2025
Abstract
Nel contesto delle professioni educative e formative, sempre più segnato da sfide complesse, mutevoli e interconnesse, emerge con forza la necessità di ripensare i dispositivi formativi, ampliando il repertorio di strumenti capaci di sostenere lo sviluppo professionale in chiave riflessiva, critica e creativa. Il contributo si propone di esplorare il ruolo dei linguaggi visivi e artistici nella costruzione di dispositivi riflessivi, in particolare all’interno di percorsi di formazione e ricerca rivolti a professionisti dell’educazione. Negli ultimi decenni, la letteratura pedagogica e le scienze sociali hanno sottolineato il valore degli approcci visuali e artistici nel cogliere la complessità dell’esperienza educativa (Harper, 2012). Tali approcci si rivelano particolarmente adatti ad accedere a dimensioni dell’esperienza che sfuggono a una lettura unicamente logico-discorsiva, contribuendo a restituire la natura situata, plurale e dinamica dei processi formativi. L’esperienza educativa è infatti profondamente intrecciata al vissuto dei soggetti e ai contesti nei quali si realizza. È un fenomeno non standardizzabile, radicato nel mondo della vita (Dahlberg et al., 2008). Tale dinamicità richiede lo sforzo di immaginare strategie creative e complesse (Sullivan, 2010) per documentare (Biffi, 2014) e indagare il lavoro educativo e necessita di dispositivi capaci di valorizzarne le sfumature, i significati impliciti e le risonanze affettive. L’inserimento dei linguaggi artistici nei percorsi formativi rappresenta, in definitiva, una sfida epistemologica: significa riconoscere che la professionalità educativa si costruisce anche attraverso dimensioni simboliche, estetiche e relazionali. In questo senso, i linguaggi visuali e artistici agiscono come pratiche di cura del pensiero e dell’esperienza, offrendo al professionista occasioni per abitare consapevolmente la propria azione, in un equilibrio dinamico tra tradizione pedagogica e ricerca di nuove forme del fare e dell’essere professionisti dell’educazione. Il contributo si conclude con alcune riflessioni nate da esperienze di formazione e ricerca condotte con professionisti dell’educazione, al fine di evidenziare da un lato la potenzialità trasformativa di questi linguaggi (Wood, 2015), dall’altro l’importanza di un’attenta riflessione metodologica ed etica sul loro impiego (Warr et al, 2016). Verrà fatto riferimento a pratiche come il photovoice (Wang & Burris, 1997), la costruzione di mappe vissute (Gabb, 2008), il collage (Butler-Kisber, 2008; Biffi et al., 2019) e le moodboard (Velasquez-Posada, 2019; Spawforth-Jones, 2021), intese come modalità di indagine e di espressione che coinvolgono le dimensioni corporee, emotive e simboliche. Si tratta, in ultima analisi, di riconoscerne il valore generativo all’interno dei processi formativi, in quanto capaci di aprire spazi di risonanza tra vissuti e pratiche e di ridefinizione del senso del proprio agire educativo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.