Il presente contributo intende passare in rassegna le varie concezioni e utilizzi della teoria del cambiamento soffermandosi sulle esperienze pratiche delle due autrici, offrendo così spunti di riflessione di quella che oggigiorno è un approccio largamente utilizzato nel fare valutativo: la valutazione basata sulla teoria. Nell’esperienza di chi scrive più volte ci si è imbattuti nella domanda se la TOC fosse uno strumento organizzativo efficace più per gli attuatori del programma, che in questo modo beneficiano di una sintesi delle azioni e di come queste debbano funzionare, oppure uno strumento valutativo di prezioso aiuto per il valutatore nello scomporre la complessità di un intervento. Una domanda lecita e, non a caso, frutto di una definizione terminologica piuttosto confusa sia nell’uso corrente da parte dei practitioners sia nella letteratura scientifica sul tema. Vi si ravvisano infatti diverse definizioni di TOC: per alcuni è uno strumento, per altri un criterio, una metodologia e per altri ancora un processo. Alcuni ricercatori invece ne sottolineano la linearità, mentre altri pongono l’accento sulla sua circolarità riflessiva. Chi scrive lo concepisce come qualcosa di continuamente modificabile e migliorabile alla luce dell’esplicarsi del processo valutativo, in un lungo e tortuoso confronto con la committenza, con il campo di implementazione e di azione valutativa, che di volta in volta consente di aggiungere o eliminare elementi e “nessi di causalità”. Probabilmente l’errore di utilizzo della TOC è da rintracciarsi in un successo smisurato anche laddove questa venga ridotta a una mera sovrapposizione alla teoria del programma, incapace così di generare una teoria del cambiamento che possa fattivamente comportare miglioramenti o, laddove ve ne fossero, individuare fattori o elementi in grado di inibire o ridurre l’efficacia delle azioni del programma. Nell’esperienza di chi scrive, la TOC è concepita come un processo partecipativo che “genera” una delle tante teorie del cambiamento sottese al programma, tuttavia ci si scontra spesso con un'altra diffusa difficoltà: molto spesso alcuni interventi mancano di una teoria del programma esplicita, di un piano di azioni scalabili e attuabili nei tempi previsti dai relativi finanziamenti. Ciò richiede al valutatore di esplorare insieme alla committenza gli obiettivi realisticamente raggiungibili dalle azioni che si ritiene di mettere in campo e i risultati osservabili nei tempi previsti. Tale operazione, indispensabile per definire obiettivi valutativi concretamente rilevabili, può comportare una presa di consapevolezza da parte della committenza ed eventuali partner o attori coinvolti nell’implementazione dei limiti delle proprie azioni progettuali e della necessità di una loro parziale rimodulazione, ponendo il soggetto valutatore in una doppia veste di valutatore e consulente per la riprogettazione. In questi casi, la definizione di una teoria del cambiamento può diventare non solo strumento valutativo ma anche, alla stregua di un logical framework, uno strumento di pianificazione e di supporto alla progettazione. A sostegno di questa ipotesi si propone un caso studio nel quale il processo valutativo ha fatto emergere simili dinamiche, problematizzandone i nodi chiave.
Cinotti, G., Parente, G. (2023). Una, nessuna, centomila. Per uno stress test della teoria del cambiamento tra valutazione e progettazione partecipata. Intervento presentato a: XXV Congresso Nazionale AIV - Chiedimi di valutare. Il rapporto tra valutatore e committente tra programmazione, attuazione e valutazione., Roma.
Una, nessuna, centomila. Per uno stress test della teoria del cambiamento tra valutazione e progettazione partecipata
Cinotti, G;
2023
Abstract
Il presente contributo intende passare in rassegna le varie concezioni e utilizzi della teoria del cambiamento soffermandosi sulle esperienze pratiche delle due autrici, offrendo così spunti di riflessione di quella che oggigiorno è un approccio largamente utilizzato nel fare valutativo: la valutazione basata sulla teoria. Nell’esperienza di chi scrive più volte ci si è imbattuti nella domanda se la TOC fosse uno strumento organizzativo efficace più per gli attuatori del programma, che in questo modo beneficiano di una sintesi delle azioni e di come queste debbano funzionare, oppure uno strumento valutativo di prezioso aiuto per il valutatore nello scomporre la complessità di un intervento. Una domanda lecita e, non a caso, frutto di una definizione terminologica piuttosto confusa sia nell’uso corrente da parte dei practitioners sia nella letteratura scientifica sul tema. Vi si ravvisano infatti diverse definizioni di TOC: per alcuni è uno strumento, per altri un criterio, una metodologia e per altri ancora un processo. Alcuni ricercatori invece ne sottolineano la linearità, mentre altri pongono l’accento sulla sua circolarità riflessiva. Chi scrive lo concepisce come qualcosa di continuamente modificabile e migliorabile alla luce dell’esplicarsi del processo valutativo, in un lungo e tortuoso confronto con la committenza, con il campo di implementazione e di azione valutativa, che di volta in volta consente di aggiungere o eliminare elementi e “nessi di causalità”. Probabilmente l’errore di utilizzo della TOC è da rintracciarsi in un successo smisurato anche laddove questa venga ridotta a una mera sovrapposizione alla teoria del programma, incapace così di generare una teoria del cambiamento che possa fattivamente comportare miglioramenti o, laddove ve ne fossero, individuare fattori o elementi in grado di inibire o ridurre l’efficacia delle azioni del programma. Nell’esperienza di chi scrive, la TOC è concepita come un processo partecipativo che “genera” una delle tante teorie del cambiamento sottese al programma, tuttavia ci si scontra spesso con un'altra diffusa difficoltà: molto spesso alcuni interventi mancano di una teoria del programma esplicita, di un piano di azioni scalabili e attuabili nei tempi previsti dai relativi finanziamenti. Ciò richiede al valutatore di esplorare insieme alla committenza gli obiettivi realisticamente raggiungibili dalle azioni che si ritiene di mettere in campo e i risultati osservabili nei tempi previsti. Tale operazione, indispensabile per definire obiettivi valutativi concretamente rilevabili, può comportare una presa di consapevolezza da parte della committenza ed eventuali partner o attori coinvolti nell’implementazione dei limiti delle proprie azioni progettuali e della necessità di una loro parziale rimodulazione, ponendo il soggetto valutatore in una doppia veste di valutatore e consulente per la riprogettazione. In questi casi, la definizione di una teoria del cambiamento può diventare non solo strumento valutativo ma anche, alla stregua di un logical framework, uno strumento di pianificazione e di supporto alla progettazione. A sostegno di questa ipotesi si propone un caso studio nel quale il processo valutativo ha fatto emergere simili dinamiche, problematizzandone i nodi chiave.File | Dimensione | Formato | |
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