Le storie di parto, intese come narrazioni femminili raccolte in forma orale o scritta, sono da tempo riconosciute dalla ricerca femminista (Reinharz, 1992) come metodo privilegiato sia per l’indagine che per l’intervento a supporto delle madri (cfr. Dahlen, Barclay, Homer, 2010). Attraverso lo studio delle singole esperienze di nascita situate è infatti possibile comprendere tanto le dimensioni individuali quanto quelle psicosociali coinvolte. Diverse ricerche qualitative hanno analizzato i racconti delle protagoniste evidenziando nelle narrazioni la presenza di elementi di tipo non solo fisiologico ma soprattutto psicologico. Le donne descrivono infatti il proprio sentire in relazione sia alle esperienze del corpo che ai diversi aspetti intrapsichici che connotano le differenti fasi del travaglio e del parto. Un ruolo centrale svolgono anche le diverse figure professionali e parentali coinvolte, nonché le prescrizioni sociali sul comportamento “adeguato” (Halldorsdottir, Karlsdottir, 1996; Thomson, Downe, 2010; Maher, 2008). Un contributo a questa prospettiva di studi deriva dall’utilizzo della Standpoint Theory (Hartsock 1983), che attribuisce valore di verità all’esperienza soggettiva e pratica delle donne (Gergen, 1988) e insieme valorizza le differenze intra-genere senza pretendere di ridurre, in questo caso, l’esperienza di parto ad un’unica modalità prescritta. Permette infatti di riconnettere i vissuti individuali alle disuguaglianze che informano la vita delle persone, nonché di comprendere il funzionamento dei sistemi di potere coinvolti. Nell’ambito di un progetto sulle rappresentazioni sociali della maternità (Camussi, 2009), una fase della ricerca ha analizzato le storie di parto di un gruppo di donne italiane con un’esperienza di maternità normale. Le partecipanti erano dodici donne di livello culturale medio alto, di età compresa tra i 35 e i 40 anni, professionalmente impegnate, sposate o conviventi con partner di pari livello culturale e coinvolgimento professionale, residenti a Milano, divenute madri seguendo percorsi ospedalieri “classici” o supportate da ostetriche di Case di Maternità. Le madri hanno preso parte a colloqui semidirettivi e focus group, nonché a follow up per l’interpretazione dei dati. Le fasi della rilevazione sono successive, secondo il principio della theoretical saturation (Strauss, Corbin, 1990). I colloqui, i focus group e i follow-up sono stati audio e video registrati (con il consenso delle partecipanti) e integralmente trascritti. Per meglio supportare l’analisi e l’interpretazione dei dati, le rilevazioni sono state corredate dalle “note di campo”. In prospettiva gender sensitive, il gruppo di ricerca era composto da tre ricercatrici donne con competenze teoriche e metodologiche in ambito di genere. La fase di analisi dei dati è stata supportata da un software per l’analisi testuale e preceduta da “un’immersione nei dati”. I risultati mostrano come l’esperienza e/o il racconto del parto favoriscano un ri-posizionamento attivo della donna, anche attraverso il riconoscimento dell’ambivalenza insita nel discorso dominante, polarizzato tra la medicalizzazione e la naturalità del parto

Camussi, E., Gritti, A. (2012). Partire da sé: storie di parto tra naturalità e medicalizzazione. In E. Bellè, B. Poggio, G. Selmi (a cura di), Attraverso i confini dei generi (pp. 325-341). Trento : Università degli Studi di Trento.

Partire da sé: storie di parto tra naturalità e medicalizzazione

CAMUSSI, ELISABETTA;GRITTI, ALICE
2012

Abstract

Le storie di parto, intese come narrazioni femminili raccolte in forma orale o scritta, sono da tempo riconosciute dalla ricerca femminista (Reinharz, 1992) come metodo privilegiato sia per l’indagine che per l’intervento a supporto delle madri (cfr. Dahlen, Barclay, Homer, 2010). Attraverso lo studio delle singole esperienze di nascita situate è infatti possibile comprendere tanto le dimensioni individuali quanto quelle psicosociali coinvolte. Diverse ricerche qualitative hanno analizzato i racconti delle protagoniste evidenziando nelle narrazioni la presenza di elementi di tipo non solo fisiologico ma soprattutto psicologico. Le donne descrivono infatti il proprio sentire in relazione sia alle esperienze del corpo che ai diversi aspetti intrapsichici che connotano le differenti fasi del travaglio e del parto. Un ruolo centrale svolgono anche le diverse figure professionali e parentali coinvolte, nonché le prescrizioni sociali sul comportamento “adeguato” (Halldorsdottir, Karlsdottir, 1996; Thomson, Downe, 2010; Maher, 2008). Un contributo a questa prospettiva di studi deriva dall’utilizzo della Standpoint Theory (Hartsock 1983), che attribuisce valore di verità all’esperienza soggettiva e pratica delle donne (Gergen, 1988) e insieme valorizza le differenze intra-genere senza pretendere di ridurre, in questo caso, l’esperienza di parto ad un’unica modalità prescritta. Permette infatti di riconnettere i vissuti individuali alle disuguaglianze che informano la vita delle persone, nonché di comprendere il funzionamento dei sistemi di potere coinvolti. Nell’ambito di un progetto sulle rappresentazioni sociali della maternità (Camussi, 2009), una fase della ricerca ha analizzato le storie di parto di un gruppo di donne italiane con un’esperienza di maternità normale. Le partecipanti erano dodici donne di livello culturale medio alto, di età compresa tra i 35 e i 40 anni, professionalmente impegnate, sposate o conviventi con partner di pari livello culturale e coinvolgimento professionale, residenti a Milano, divenute madri seguendo percorsi ospedalieri “classici” o supportate da ostetriche di Case di Maternità. Le madri hanno preso parte a colloqui semidirettivi e focus group, nonché a follow up per l’interpretazione dei dati. Le fasi della rilevazione sono successive, secondo il principio della theoretical saturation (Strauss, Corbin, 1990). I colloqui, i focus group e i follow-up sono stati audio e video registrati (con il consenso delle partecipanti) e integralmente trascritti. Per meglio supportare l’analisi e l’interpretazione dei dati, le rilevazioni sono state corredate dalle “note di campo”. In prospettiva gender sensitive, il gruppo di ricerca era composto da tre ricercatrici donne con competenze teoriche e metodologiche in ambito di genere. La fase di analisi dei dati è stata supportata da un software per l’analisi testuale e preceduta da “un’immersione nei dati”. I risultati mostrano come l’esperienza e/o il racconto del parto favoriscano un ri-posizionamento attivo della donna, anche attraverso il riconoscimento dell’ambivalenza insita nel discorso dominante, polarizzato tra la medicalizzazione e la naturalità del parto
Capitolo o saggio
Birth stories; nature and nurture; standpoint theory
Italian
Attraverso i confini dei generi
Bellè, E; Poggio, B; Selmi, G
2012
978-88-8443-430-2
Università degli Studi di Trento
325
341
Camussi, E., Gritti, A. (2012). Partire da sé: storie di parto tra naturalità e medicalizzazione. In E. Bellè, B. Poggio, G. Selmi (a cura di), Attraverso i confini dei generi (pp. 325-341). Trento : Università degli Studi di Trento.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/45589
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