Nella sentenza in commento, si afferma che solo beni di cui il fallito abbia una disponibilità lecita e legittima possono formare oggetto del suo patrimonio, mentre non avrebbero la possibilità di essere appresi dagli organi fallimentari, né di formare oggetto di esecuzione concorsuale, tutti quei beni di cui il fallito abbia ottenuto la disponibilità a seguito di un illecito penalmente rilevante. L'A. rileva che "tale massima interpretativa, testualmente ricavabile dalla suddetta sentenza, non è, però, pacifica in dottrina, mentre è addirittura contraria alla stragrande maggioranza delle decisioni giurisprudenziali intervenute sul tema". Dopo aver descritto ed analizzato la complessa vicenda in esame, l'A. osserva che quando, come avvenuto nel caso di specie, il truffatore dichiarato fallito abbia alienato la cosa mobile determinata provento della truffa, il concorrente reato di bancarotta fraudolenta si configura non rispetto all'alienazione della cosa, ma, eventualmente, rispetto alla sottrazione dalla massa della somma ricavata da quell'alienazione, somma che viene a confondersi nel patrimonio del fallito. L'A. ritiene di aderire a questa impostazione e soluzione, sottolineando, a questo proposito, come la sentenza in esame abbia risolto la questione in modo troppo semplicistico e sbrigativo, senza approfondire minimamente il tema del profitto derivato dal reato "a monte", e le sue incidenze sul patrimonio dell'impresa poi fallita
Lanzi, A. (2008). Sulla rilevanza penale della distrazione fallimentare di beni di provenienza illecita (Nota a App. Reggio Calabria 13 maggio 2008). IL FALLIMENTO E LE ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI, 30(10), 1200-1201.
Sulla rilevanza penale della distrazione fallimentare di beni di provenienza illecita (Nota a App. Reggio Calabria 13 maggio 2008)
LANZI, ALESSIO
2008
Abstract
Nella sentenza in commento, si afferma che solo beni di cui il fallito abbia una disponibilità lecita e legittima possono formare oggetto del suo patrimonio, mentre non avrebbero la possibilità di essere appresi dagli organi fallimentari, né di formare oggetto di esecuzione concorsuale, tutti quei beni di cui il fallito abbia ottenuto la disponibilità a seguito di un illecito penalmente rilevante. L'A. rileva che "tale massima interpretativa, testualmente ricavabile dalla suddetta sentenza, non è, però, pacifica in dottrina, mentre è addirittura contraria alla stragrande maggioranza delle decisioni giurisprudenziali intervenute sul tema". Dopo aver descritto ed analizzato la complessa vicenda in esame, l'A. osserva che quando, come avvenuto nel caso di specie, il truffatore dichiarato fallito abbia alienato la cosa mobile determinata provento della truffa, il concorrente reato di bancarotta fraudolenta si configura non rispetto all'alienazione della cosa, ma, eventualmente, rispetto alla sottrazione dalla massa della somma ricavata da quell'alienazione, somma che viene a confondersi nel patrimonio del fallito. L'A. ritiene di aderire a questa impostazione e soluzione, sottolineando, a questo proposito, come la sentenza in esame abbia risolto la questione in modo troppo semplicistico e sbrigativo, senza approfondire minimamente il tema del profitto derivato dal reato "a monte", e le sue incidenze sul patrimonio dell'impresa poi fallitaI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.