Il contributo muove dalla premessa che la sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale non ha mai riconosciuto un diritto a ricevere una prestazione di morte dal Servizio Sanitario Nazionale, limitandosi a individuare una circoscritta area di non punibilità dell'aiuto al suicidio in presenza di condizioni rigorosamente delimitate, sempre subordinata al coinvolgimento del malato in un percorso di cure palliative. L'analisi si articola attraverso l'esame sistematico delle competenze costituzionali violate dalle normative regionali. In primo luogo, la disciplina del fine vita attiene agli atti di disposizione del proprio corpo, incidendo su aspetti essenziali dell'identità e dell'integrità della persona, materia che ricade nell'ordinamento civile di competenza esclusiva statale; in secondo luogo, una normativa regionale sul fine vita eliderebbe il disvalore delle condotte di aiuto al suicidio, ricadendo quindi nell'ordinamento penale, anch'esso di competenza esclusiva statale. Ulteriore profilo di illegittimità riguarda la violazione della competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre, anche qualora si volesse ipotizzare una competenza concorrente in materia di tutela della salute, le regioni non potrebbero comunque intervenire in assenza di una legge quadro statale che individui i principi fondamentali. In conclusione, la normazione regionale in questa materia costituisce una "fuga in avanti" illegittima che rivendica spazi di sovranità in aperto contrasto con il principio di unità e indivisibilità della Repubblica.

Candido, A. (2025). Disordine delle fonti e incompetenza regionale sul "fine vita". In A. Bianchini (a cura di), È vita anche alla fine (pp. 95-114). studium edizioni.

Disordine delle fonti e incompetenza regionale sul "fine vita"

Candido, A.
2025

Abstract

Il contributo muove dalla premessa che la sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale non ha mai riconosciuto un diritto a ricevere una prestazione di morte dal Servizio Sanitario Nazionale, limitandosi a individuare una circoscritta area di non punibilità dell'aiuto al suicidio in presenza di condizioni rigorosamente delimitate, sempre subordinata al coinvolgimento del malato in un percorso di cure palliative. L'analisi si articola attraverso l'esame sistematico delle competenze costituzionali violate dalle normative regionali. In primo luogo, la disciplina del fine vita attiene agli atti di disposizione del proprio corpo, incidendo su aspetti essenziali dell'identità e dell'integrità della persona, materia che ricade nell'ordinamento civile di competenza esclusiva statale; in secondo luogo, una normativa regionale sul fine vita eliderebbe il disvalore delle condotte di aiuto al suicidio, ricadendo quindi nell'ordinamento penale, anch'esso di competenza esclusiva statale. Ulteriore profilo di illegittimità riguarda la violazione della competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre, anche qualora si volesse ipotizzare una competenza concorrente in materia di tutela della salute, le regioni non potrebbero comunque intervenire in assenza di una legge quadro statale che individui i principi fondamentali. In conclusione, la normazione regionale in questa materia costituisce una "fuga in avanti" illegittima che rivendica spazi di sovranità in aperto contrasto con il principio di unità e indivisibilità della Repubblica.
Capitolo o saggio
fine vita; suicidio assistito; autodeterminazione; ordinamento civile; ordinamento penale; tutela della salute
Italian
È vita anche alla fine
Bianchini, A
2025
978-88-382-5524-3
studium edizioni
95
114
Candido, A. (2025). Disordine delle fonti e incompetenza regionale sul "fine vita". In A. Bianchini (a cura di), È vita anche alla fine (pp. 95-114). studium edizioni.
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