I vostri figli non sono figli vostri. Giovani violenti fra denuncia e diagnosi

The presentation explores the complexity of social and institutional responses to child-to-parent violence, intercepted primarily as deviant or pathological, highlighting the conflict between psychiatric, juridical and familial visions. Each perspective interprets child-to-parent violence differently: psychiatry invokes pharmacological treatment as a response to the ‘madness’ of young people, while the legal system sees institutionalisation as a means to ‘straighten out’ behaviour considered antisocial and deviant. On the parental side, violent acts are experienced as a painful detachment from familiarity with a child one no longer recognises, whose behaviour one is ashamed of and blames, perceiving its ‘’monstruosity‘’, being afraid of what one identifies as a foreign body. Next, an attempt will be made to broaden the institutional and family discourses through an ecological-systemic view, linking them to the transformations in social structures: the rarefaction of the educational community and the transition to the nuclear family ( frequently reconstituted or with single parents) weaken the support network necessary for parents to bring up their children. This phenomenon has repercussions in a closure of the family microcosm to the rest of the world, attempting to preserve well-being within it, parents increasingly abdicate an unsupported and more and more disorientating educational task in order to become the interpreters of the social mandate to produce benefits and services as guarantees of optimum growth. This, however, exacerbates the expectations of ‘perfection’ placed on themselves and their children, who once adolescents, in close contact with the world, rediscover themselves to be fragile and vulnerable, unable to meet self- and hetero-imposed expectations. The parents, unprepared to grasp their child's disease and the conflictual dynamics, softened until a moment before, enter into crisis in relation to their own role, unprepared to understand the malaise of a child ‘who has never been without anything’. The intervention concludes by proposing a recovery of shared education and authority, suggesting that adults should act as ‘bows’ (from the quotation in the title of Khalil Gibran's poem) that support and guide young people, promoting a growth in which individual and collective experience can be enhanced through critical spaces for reflection and mutual support.

L’intervento esplora la complessità delle risposte sociali e istituzionali ai comportamenti violenti dei figli nei confronti dei genitori, intercettati primariamente come devianti o patologici, mettendo in luce il conflitto tra visioni psichiatriche, giuridiche e familiari. Ogni prospettiva interpreta la violenza filioparentale in modo diverso: la psichiatria invoca il trattamento farmacologico come risposta alla "follia" dei giovani, mentre il sistema giuridico vede l’istituzionalizzazione come mezzo per "raddrizzare" comportamenti considerati antisociali e devianti. Dal lato genitoriale, gli agiti violenti vengono vissuti come uno scollamento doloroso dalla familiarità con un figlio che non si riconosce più, del cui comportamento ci si vergogna e colpevolizza, percependone la “mostruosità", avendo paura di quel che si identifica come un corpo estraneo. Successivamente, si proverà a ampliare i discorsi istituzionali e familiari attraverso uno sguardo ecologico-sistemico, collegandoli alle trasformazioni delle strutture sociali: la rarefazione della comunità educante e il passaggio alla famiglia nucleare (spesso ricostituite o con genitori single) indeboliscono la rete di supporto necessaria ai genitori per crescere i figli. Questo fenomeno si ripercuote in una chiusura del microcosmo familiare al resto del mondo, tentando di preservare il benessere al suo interno i genitori abdicano sempre più spesso ad un compito educativo sempre più disorientante e insostenibile per farsi interpreti del mandato sociale di produzione di beni e servizi, quali garanzie di crescita ottimale. Ciò però acuisce le aspettative di "perfezione” calate su sé stessi e sui figli, che una volta adolescenti, nel contatto con il mondo, si riscoprono fragili e vulnerabili, non in grado di corrispondere alle aspettative auto ed eteroimposte. I genitori, impreparati a cogliere il malessere del figlio e le dinamiche conflittuali, edulcorate fino ad un attimo prima, entrano in crisi rispetto al proprio ruolo, impreparato a cogliere il disagio di un figlio “a cui non è mai mancato nulla”. L’intervento si conclude proponendo un recupero dell’educazione condivisa, suggerendo che gli adulti agiscano come "archi" (dalla citazione in titolo della poesia di Khalil Gibran) che sostengono e orientano i giovani, promuovendo una crescita in cui l’esperienza individuale e collettiva possa essere valorizzata attraverso spazi critici di riflessione e sostegno reciproco.