Da alcuni mesi giro in tondo intorno ad un passo di Ulpiano (D.44.2.11 pr.), le cui numerose difficoltà ho affrontato in un primo tempo solo sotto il profilo del problema della motivazione delle sentenze. Il testo, però, è peculiare e continua a richiamarmi a sé, evocando riflessioni molto più ampie, che vanno diritte ai fondamenti stessi del diritto, alle definizioni del medesimo (a partire da quella, più nota, di Celso) ed al senso del ‘fare diritto’. Il giurista severiano, affrontando un caso di diritto successorio di cui è protagonista una donna, dopo avere affermato di non dubitare della correttezza di un precedente parere di Nerazio, strettamente conforme al ius, va poi con forza in direzione contraria, minando un principio processuale fondamentale come il divieto di “ne bis in idem agere”. Nel dare (sommariamente, invero) conto delle ragioni della posizione assunta, Ulpiano, con una sola pennellata, dipinge l’intero suo universo giuridico, fatto di soluzioni ‘giuste’ sul piano sostanziale, dove il caso particolare può suggerire che si debba, nelle sue parole, ‘andare in aiuto’. Si rivendica così l’idea di un diritto ‘umano’, non inesorabile ingranaggio chapliniano, ma strumento al servizio del benessere dell’uomo. Il pensiero ulpianeo, dunque, sembra qui concorrere a collocare una tessera in più nel puzzle della definizione celsina del diritto come ars boni et aequi e, forse, anche a suggerire qualche riflessione circa l’idea contemporanea del medesimo, contribuendo all’archiviazione definitiva di certe pericolose concettualizzazioni del diritto stesso, che, lungi, dall’essere semplicemente “a symbol for an idea” (Glanville Williams), ha e deve avere invece ‘fisicamente’ a che fare con la storia individuale e la personalità di ciascuno di noi
Biscotti, B. (2013). Non dubito: sed ex causa succurrendum erit. Ulpiano giurista Post-Postmoderno?. Intervento presentato a: Sociètè Internationale d'Histoire des Droits, Salisburgo.
Non dubito: sed ex causa succurrendum erit. Ulpiano giurista Post-Postmoderno?
BISCOTTI, BARBARA
2013
Abstract
Da alcuni mesi giro in tondo intorno ad un passo di Ulpiano (D.44.2.11 pr.), le cui numerose difficoltà ho affrontato in un primo tempo solo sotto il profilo del problema della motivazione delle sentenze. Il testo, però, è peculiare e continua a richiamarmi a sé, evocando riflessioni molto più ampie, che vanno diritte ai fondamenti stessi del diritto, alle definizioni del medesimo (a partire da quella, più nota, di Celso) ed al senso del ‘fare diritto’. Il giurista severiano, affrontando un caso di diritto successorio di cui è protagonista una donna, dopo avere affermato di non dubitare della correttezza di un precedente parere di Nerazio, strettamente conforme al ius, va poi con forza in direzione contraria, minando un principio processuale fondamentale come il divieto di “ne bis in idem agere”. Nel dare (sommariamente, invero) conto delle ragioni della posizione assunta, Ulpiano, con una sola pennellata, dipinge l’intero suo universo giuridico, fatto di soluzioni ‘giuste’ sul piano sostanziale, dove il caso particolare può suggerire che si debba, nelle sue parole, ‘andare in aiuto’. Si rivendica così l’idea di un diritto ‘umano’, non inesorabile ingranaggio chapliniano, ma strumento al servizio del benessere dell’uomo. Il pensiero ulpianeo, dunque, sembra qui concorrere a collocare una tessera in più nel puzzle della definizione celsina del diritto come ars boni et aequi e, forse, anche a suggerire qualche riflessione circa l’idea contemporanea del medesimo, contribuendo all’archiviazione definitiva di certe pericolose concettualizzazioni del diritto stesso, che, lungi, dall’essere semplicemente “a symbol for an idea” (Glanville Williams), ha e deve avere invece ‘fisicamente’ a che fare con la storia individuale e la personalità di ciascuno di noiI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.