E’ vera o falsa la vulgata di un giudice penale passivo, nel Regno Lombardo-Veneto, perché completamente imbrigliato o invischiato dalle regole di prova legale? Certamente la prova legale, così come congegnata nel codice penale austriaco del 1803, obbligava a motivare espressamente e specificamente in base agli indizi indicati dalla legge. Ma come si spiegano allora le frequenti forzature degli indizi, delle prove testimoniali o della confessione per giungere alla condanna? Questo atteggiamento, invece che passiva accettazione dei dati legali, denota nei giudici una tacita resistenza al sistema di prova legale, un’insofferenza, non ammessa esplicitamente ma serpeggiante tra le righe, nei confronti del convincimento legale così come congegnato dal codice, una composta ribellione, se così si può dire, che diventa palese e un poco più esplicita solo quando il relatore depone le armi si dispone a chiedere la sospensione del processo, pur dichiarandosi convinto della colpevolezza dell’imputato. In ogni caso, quando il giudice è positivamente convinto della colpevolezza dell’imputato e sa usare il codice, non si arrende e, pur sapendo che la gabbia, anche se divenuta meno rigida dal 1833, esiste, non esita ad adoperare la sua discrezionalità per giungere a superarla. In altre parole, neanche le regole di prova legale, malgrado i voti, riuscirono a bloccare del tutto l’arbitrio del giudice. Viceversa, sembrerebbe più arduo stabilire se il giudice, non convinto della colpevolezza dell’imputato, pur di fronte agli indizi legali, avesse una scappatoia. Anche in questo caso, però, il giudice aveva un margine di manovra e poteva dichiarare sospeso il processo per mancanza di indizi, valutandone negativamente la credibilità e l’attendibilità complessiva, soprattutto dopo la patente del 1833, che aveva reso più flessibile il sistema, munito del resto, già nel 1803, di opportuni profili di discrezionalità. Per il resto: piena adesione al codice per quanto concerne il valore sintomatico della confessione e ampio sfruttamento di tutte le possibilità che il codice offriva al giudice per esercitare la sua discrezionalità: questo ultimo dato è dimostrato anche dal bilanciamento delle circostanze, operazione che i giudici compivano scrupolosamente e con consapevolezza del loro ruolo di mediatori sociali. Non si vuole con ciò sminuire l’importanza del controllo penetrante e ferrigno cui il giudice lombardo-veneto era effettivamente sottoposto: esso risulta anzi in molti casi aver pesantemente condizionato il giudizio di primo grado. Ma accanto all’occhio della legge esisteva anche lo sguardo del giudice, accanto alla volontà del legislatore si poneva anche la volontà del giudice-interprete, a dimostrare come, malgrado tutto, anche i codici in apparenza più dirigisti e meno favorevoli alla discrezionalità giudiziale, come quello austriaco, debbano pur sempre passare al vaglio e al filtro della giurisprudenza.

Chiodi, G. (2007). Il fascino discreto del libero convincimento. Per un identikit del giudice penale lombardo-veneto. In G. Chiodi, C. Povolo (a cura di), Amministrazione della giustizia penale e controllo sociale nel Regno Lombardo-Veneto (pp. 7-59). Verona : Cierre Edizioni.

Il fascino discreto del libero convincimento. Per un identikit del giudice penale lombardo-veneto

CHIODI, GIOVANNI
2007

Abstract

E’ vera o falsa la vulgata di un giudice penale passivo, nel Regno Lombardo-Veneto, perché completamente imbrigliato o invischiato dalle regole di prova legale? Certamente la prova legale, così come congegnata nel codice penale austriaco del 1803, obbligava a motivare espressamente e specificamente in base agli indizi indicati dalla legge. Ma come si spiegano allora le frequenti forzature degli indizi, delle prove testimoniali o della confessione per giungere alla condanna? Questo atteggiamento, invece che passiva accettazione dei dati legali, denota nei giudici una tacita resistenza al sistema di prova legale, un’insofferenza, non ammessa esplicitamente ma serpeggiante tra le righe, nei confronti del convincimento legale così come congegnato dal codice, una composta ribellione, se così si può dire, che diventa palese e un poco più esplicita solo quando il relatore depone le armi si dispone a chiedere la sospensione del processo, pur dichiarandosi convinto della colpevolezza dell’imputato. In ogni caso, quando il giudice è positivamente convinto della colpevolezza dell’imputato e sa usare il codice, non si arrende e, pur sapendo che la gabbia, anche se divenuta meno rigida dal 1833, esiste, non esita ad adoperare la sua discrezionalità per giungere a superarla. In altre parole, neanche le regole di prova legale, malgrado i voti, riuscirono a bloccare del tutto l’arbitrio del giudice. Viceversa, sembrerebbe più arduo stabilire se il giudice, non convinto della colpevolezza dell’imputato, pur di fronte agli indizi legali, avesse una scappatoia. Anche in questo caso, però, il giudice aveva un margine di manovra e poteva dichiarare sospeso il processo per mancanza di indizi, valutandone negativamente la credibilità e l’attendibilità complessiva, soprattutto dopo la patente del 1833, che aveva reso più flessibile il sistema, munito del resto, già nel 1803, di opportuni profili di discrezionalità. Per il resto: piena adesione al codice per quanto concerne il valore sintomatico della confessione e ampio sfruttamento di tutte le possibilità che il codice offriva al giudice per esercitare la sua discrezionalità: questo ultimo dato è dimostrato anche dal bilanciamento delle circostanze, operazione che i giudici compivano scrupolosamente e con consapevolezza del loro ruolo di mediatori sociali. Non si vuole con ciò sminuire l’importanza del controllo penetrante e ferrigno cui il giudice lombardo-veneto era effettivamente sottoposto: esso risulta anzi in molti casi aver pesantemente condizionato il giudizio di primo grado. Ma accanto all’occhio della legge esisteva anche lo sguardo del giudice, accanto alla volontà del legislatore si poneva anche la volontà del giudice-interprete, a dimostrare come, malgrado tutto, anche i codici in apparenza più dirigisti e meno favorevoli alla discrezionalità giudiziale, come quello austriaco, debbano pur sempre passare al vaglio e al filtro della giurisprudenza.
Capitolo o saggio
libero convincimento processo penale giudice Lombardo-Veneto
Italian
Amministrazione della giustizia penale e controllo sociale nel Regno Lombardo-Veneto
Chiodi, G; Povolo, C
2007
978-88-8314-431-8
Cierre Edizioni
7
59
Chiodi, G. (2007). Il fascino discreto del libero convincimento. Per un identikit del giudice penale lombardo-veneto. In G. Chiodi, C. Povolo (a cura di), Amministrazione della giustizia penale e controllo sociale nel Regno Lombardo-Veneto (pp. 7-59). Verona : Cierre Edizioni.
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