In questo saggio, vengono introdotti alcuni aspetti della dimensione corporea all’interno del campo analitico della musicoterapia. I punti di vista adottati saranno due, in dialogo tra loro. Uno sguardo del quale ci avvarremo è quello della musicoterapia stessa: una disciplina ibrida, attraversata nella sua storia e nella sua epistemologia da due correnti: da un lato, una vena profonda di natura ‘umanistica’, qualitativa, creativa, espressiva, legata alla natura non-verbale del suono e del rumore, del ritmo e della musica, connaturata alla prossimità che la comunicatività musicale ha con mondi non ordinari – come ad esempio l’aldilà, la spiritualità, la sofferenza; dall’altro lato, una spinta, una tendenza storica, che la musicoterapia contemporanea esprime, a bussare alla porta delle scienze mediche, per ricavarne una legittimazione scientifica e dunque sociale. Da una parte, quindi, musicoterapia e musicoterapisti come disciplina e come operatori imparentati, nello spazio e nel tempo, con pratiche e saperi, con attori sociali e specialisti, che ovunque nel mondo e per millenni hanno accompagnato con le loro arti e competenze l’uso e l’esperienza di suoni, musiche, canti che dicono la cura, che veicolano la guarigione, che definiscono il senso della malattia e della morte, della terapia e del farmaco. Dall’altra, musicoterapia e musicoterapisti come elementi di un discorso storico globalizzato, nel quale le istanze e le necessità del pluralismo medico pagano un pegno elevato all’egemonia della biomedicina. Questo, per quanto riguarda il primo sguardo. Circa il secondo, esso è già adombrato nel modo stesso in cui ho appena parlato di musicoterapia come fenomeno imbricato in dinamiche di identificazione storico-socio-culturale; dei musicoterapisti come attori sociali alle prese con le istanze di definizione e posizionamento epistemologico e sociale della loro disciplina. È il punto di vista dell’antropologia medica e psicologica. Partendo dunque da alcune definizioni di base, utili a delimitare il campo di analisi, saranno la vibrazione, il rumore, il suono, la musica a costituire il mezzo – buono da sentire come vibrazione, e buono da pensare come metafora – attraverso il quale svilupperemo alcune riflessioni, e che ci condurrà a considerare il tema della corporeità nel campo terapeutico-relazionale della musicoterapia, da un punto di vista antropologico. Lo spazio a disposizione qui è quello di un abbozzo, nella direzione dell’analisi antropologica della corporeità del paziente, e di riflesso del terapeuta, in interazione tra loro.
Menegola, L. (2020). Il corpo-spartito. Per un’analisi antropologica dell’osservare ed interpretare il corpo in Musicoterapia. In M. Breno, G. Cavallari, D. Frigoli, A. Marini (a cura di), Il corpo come Mandala dell'universo. Il corpo in psicoterapia Atti del Congresso Nazionale di Ecobiopsicologia Milano 18-19 Maggio 2019 (pp. 274-299). ANEB.
Il corpo-spartito. Per un’analisi antropologica dell’osservare ed interpretare il corpo in Musicoterapia
Menegola L
2020
Abstract
In questo saggio, vengono introdotti alcuni aspetti della dimensione corporea all’interno del campo analitico della musicoterapia. I punti di vista adottati saranno due, in dialogo tra loro. Uno sguardo del quale ci avvarremo è quello della musicoterapia stessa: una disciplina ibrida, attraversata nella sua storia e nella sua epistemologia da due correnti: da un lato, una vena profonda di natura ‘umanistica’, qualitativa, creativa, espressiva, legata alla natura non-verbale del suono e del rumore, del ritmo e della musica, connaturata alla prossimità che la comunicatività musicale ha con mondi non ordinari – come ad esempio l’aldilà, la spiritualità, la sofferenza; dall’altro lato, una spinta, una tendenza storica, che la musicoterapia contemporanea esprime, a bussare alla porta delle scienze mediche, per ricavarne una legittimazione scientifica e dunque sociale. Da una parte, quindi, musicoterapia e musicoterapisti come disciplina e come operatori imparentati, nello spazio e nel tempo, con pratiche e saperi, con attori sociali e specialisti, che ovunque nel mondo e per millenni hanno accompagnato con le loro arti e competenze l’uso e l’esperienza di suoni, musiche, canti che dicono la cura, che veicolano la guarigione, che definiscono il senso della malattia e della morte, della terapia e del farmaco. Dall’altra, musicoterapia e musicoterapisti come elementi di un discorso storico globalizzato, nel quale le istanze e le necessità del pluralismo medico pagano un pegno elevato all’egemonia della biomedicina. Questo, per quanto riguarda il primo sguardo. Circa il secondo, esso è già adombrato nel modo stesso in cui ho appena parlato di musicoterapia come fenomeno imbricato in dinamiche di identificazione storico-socio-culturale; dei musicoterapisti come attori sociali alle prese con le istanze di definizione e posizionamento epistemologico e sociale della loro disciplina. È il punto di vista dell’antropologia medica e psicologica. Partendo dunque da alcune definizioni di base, utili a delimitare il campo di analisi, saranno la vibrazione, il rumore, il suono, la musica a costituire il mezzo – buono da sentire come vibrazione, e buono da pensare come metafora – attraverso il quale svilupperemo alcune riflessioni, e che ci condurrà a considerare il tema della corporeità nel campo terapeutico-relazionale della musicoterapia, da un punto di vista antropologico. Lo spazio a disposizione qui è quello di un abbozzo, nella direzione dell’analisi antropologica della corporeità del paziente, e di riflesso del terapeuta, in interazione tra loro.File | Dimensione | Formato | |
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