To write is to select. Authors select what is included and what is excluded from their fiction and non-fiction texts, following different criteria including the economy of the text, expressive and aesthetic approaches, the issues at stake in the context the text describes, political and historical background, and the readership to whom it is addressed. Ellipses, gaps, and omission of both minor details and major information constitute crucial tools and strategies in the process of writing, together with other forms of textual silence. This article focuses on the ways information is voluntarily or involuntarily omitted or elided in ethnographic accounts. It analyses three cases from different ethnographic contexts and by authors with different backgrounds: M.N. Srinivas (The Remembered Village), Germaine Tillion (Il était une fois l'ethnographie), and Jason De León (The Land of Open Graves. Living and Dying on the Migrant Trail). How do omissions, blanks, gaps and other textual silences participate in the construction and the representation of anthropological objects? How do ethnographic texts express something even while they are omitting or eliding something else? And how do readers fill these voids? These types of questions drive this analysis, inquiring into the politics of representations, and into the role such textual choices play in the production and circulation of anthropological knowledge.
La scrittura è selezione: le autrici e gli autori selezionano cosa includere e cosa escludere dal proprio scritto, secondo criteri quali l’economia del testo, approcci espressivi ed estetici, le questioni in gioco nel contesto descritto, il tipo di lettori ci si rivolge, e così via. Ellissi, lacune e omissioni di informazioni di minore o maggiore rilievo costituiscono strumenti e strategie fondamentali per il processo della scrittura, insieme ad altre forme di silenzio testuale. Ma cosa succede quanto a tali strategie si ricorre negli scritti etnografici? Concentrandosi su tre casi rappresentativi, questo contributo si concentra sui modi in cui le informazioni vengono omesse o elise, deliberatamente o meno, nella scrittura etnografica, e sui modi in cui i lettori e le lettrici colmano queste lacune. In che modo le omissioni, le ellissi e altre mancanze testuali partecipano alla costruzione e alla rappresentazione degli oggetti della ricerca? In che modo gli scritti etnografici dicono qualcosa quando omettono qualcos’altro? E qual è il ruolo delle strategie di riempimento dei lettori? È sulla base di questi interrogativi che l’articolo indaga il ruolo che le lacune hanno nella produzione del sapere antropologico. Il primo dei tre libri presi in considerazione è Il était une fois l’ethnographie, dell’etnologa francese Germaine Tillion. Al ritorno da una ricerca sul campo di sei anni in Algeria, Tillion trovò la Francia occupata dai nazisti e si unì alla Resistenza. Venne arrestata e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück, dove le vennero confiscate tutte le sue note di campo, andate definitivamente perse. Una volta liberata, Tillion decise comunque di scrivere dei resoconti etnografici, incluso Il était une fois l’ethnographie. La sua ricostruzione si basa sull’articolazione fra quello che aveva attratto la sua attenzione di osservatrice sul campo e quanto ricordava di quella esperienza. Il secondo caso preso in considerazione è The Remembered Village (1980), dell’antropologo indiano M.N. Srinvas. Tutti i materiali dell’autore, che aveva compiuto una ricerca sul campo in un villaggio indiano, andarono persi in un incendio nel suo ufficio presso l’università di Stanford. Nonostante questo incidente, Srinivas decise di scrivere il libro basandosi solamente sui propri ricordi di quanto aveva potuto osservare della vita nel villaggio indiano. Quanto emerge da tale approccio è che le parti mancanti finiscono per spostare l’attenzione dal contesto e dalle vite osservate alla memoria e alla soggettività dell’autore, in una problematica gerarchizzazione fra la descrizione di caratteri e trasformazioni dei soggetti osservati e le trasformazioni nell’etnografo stesso, e in un processo di ambigua soggettivazione attraverso l’omissione. Il terzo e ultimo caso chiamato in causa è The land of open graves. Living and dying on the migrant trail (2015), dell’antropologo statunitense di origini messicane Jason De León. Il suo lavoro si concentra sulla violenza della frontiera fra Messico e Stati Uniti. L’articolo prende in considerazione in particolare la seconda parte del libro, in cui De León raccoglie le storie di due dei suoi “informatori”, Memo e Lucho, che si stanno preparando alla pericolosa traversata a piedi del deserto del Sonora, per entrare “illegalmente” negli Stati Uniti. De León li segue prima del viaggio e li ritrova in Arizona una volta conclusa, ma la traversata rimane un punto cieco del racconto etnografico. E questo nonostante De León abbia affidato a Memo e Lucho delle macchine fotografiche per documentare quei momenti, in una sorta di delega dell’osservazione. È su tale punto cieco che si concentra l’analisi, indagando i modi in cui è proprio quella lacuna a far emergere alcune dimensioni del rapporto fra etnografi e soggetti in contesti problematici quali l’ambito delle migrazioni non autorizzate. In definitiva, uno spazio vuoto in un resoconto etnografico non corrisponde a uno spazio vuoto nella vita dei soggetti osservati: omettere qualcosa da un testo non significa ometterlo dalla loro esperienza. Incluso quando il testo conta sulla collaborazione dei lettori nel riempire quegli spazi vuoti: le proiezioni di quei lettori non corrispondono né all’esperienza dei soggetti né alle loro forme di soggettivazione. Ed è proprio al ruolo dei lettori che l’articolo presta particolare attenzione, concentrandosi sulla consapevolezza da parte di autori e autrici del fatto che gli spazi vuoti lasciati nel testo verranno consapevolmente o inconsapevolmente riempiti dai lettori, che lo faranno in base al loro retroterra storico-ideologico e alla loro biografia. Questo significa che gli scritti etnografici, in mancanza di una problematizzazione critica delle loro lacune, corrono il rischio di rafforzare e riprodurre immaginari socio-politici esistenti, piuttosto che offrire una visione alternativa informata dall’esperienza etnografica. Mentre gli etnografi non possono certo mirare a una restituzione completa di quanto osservato, la scelta di cosa esporre e cosa omettere nei loro resoconti mostra come tale omissioni ed elisioni rivestano un ruolo fondamentale nell’etica e nelle politiche della rappresentazione etnografica. Da una parte, a un vuoto testuale corrisponde una pienezza extra-testuale; dall’altra, il nodo più problematico sta nell’equilibrio fra l’etica della rappresentazione e le politiche del riconoscimento delle soggettività che i contesti osservati li vivono e li animano. In questo senso, i tre esempi mostrano quanto sia possibile cogliere le forme di omissione e di altri silenzi del testo come spie della gerarchia dell’attenzione etnografica e del quadro ideologico che le soggiace. In conclusione, insieme a una nuova attenzione nei confronti delle strategie di riempimento di lettori e lettrici e delle relative forme di riproduzione di saperi e immaginari politicamente sensibili, la possibilità metodologica ed epistemologica che si apre è partire proprio da quelle parti mancanti per trasformarle a loro volta in un paradossale ma efficace strumento euristico, con l’obiettivo di contribuire a rendere udibili e intelligibili le voci e le esperienze dei soggetti, e migliorabili le loro vite.
Alunni, L. (2021). Fieldwork in a blank space: omission, ellipses, and other silences in ethnographic writing. LA RICERCA FOLKLORICA, 2021(76), 155-174.
Fieldwork in a blank space: omission, ellipses, and other silences in ethnographic writing
Alunni, L
2021
Abstract
To write is to select. Authors select what is included and what is excluded from their fiction and non-fiction texts, following different criteria including the economy of the text, expressive and aesthetic approaches, the issues at stake in the context the text describes, political and historical background, and the readership to whom it is addressed. Ellipses, gaps, and omission of both minor details and major information constitute crucial tools and strategies in the process of writing, together with other forms of textual silence. This article focuses on the ways information is voluntarily or involuntarily omitted or elided in ethnographic accounts. It analyses three cases from different ethnographic contexts and by authors with different backgrounds: M.N. Srinivas (The Remembered Village), Germaine Tillion (Il était une fois l'ethnographie), and Jason De León (The Land of Open Graves. Living and Dying on the Migrant Trail). How do omissions, blanks, gaps and other textual silences participate in the construction and the representation of anthropological objects? How do ethnographic texts express something even while they are omitting or eliding something else? And how do readers fill these voids? These types of questions drive this analysis, inquiring into the politics of representations, and into the role such textual choices play in the production and circulation of anthropological knowledge.File | Dimensione | Formato | |
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