Fin dall’epoca di Letteratura come menzogna Manganelli ha argomentato a lungo e in molte occasioni circa l’assoluta estraneità della creazione letteraria alla vita reale. Un’insistenza troppo esibita per non destare sospetti: al pari dell’idea, altrettanto spesso replicata, che la letteratura non significa nulla e ha il nulla come proprio tema principale. Questo articolo sostiene una tesi diversa. A dispetto dell’apparato retorico che la contraddistingue e dell’impianto platealmente estraneo a ogni intento realistico, l’opera manganelliana ha un carattere squisitamente autoriflessivo. Sedicente "esperto in cose che non esistono", Manganelli non fa che parlare incessantemente di sé, rappresentando – o meglio, mettendo in scena – un teatro mentale in cui uno stato di angoscia insopportabile, che ha radici biografiche solo troppo evidenti, viene mascherato da un fittizio corteggiamento della morte. Lungi dall’essere impermeabile alla significazione, la letteratura diventa così insieme luogo e strumento di uno spettacolare, "cerimoniale" esorcismo: fingersi morente, moribondo, o morto senz’altro – anzi, suscettibile di morire un numero indefinito di volte – è essenzialmente un modo di sopravvivere. Il nucleo generatore dell’opera di Manganelli è dunque qualcosa di simile alla pratica difensiva della tanatosi, trasfigurata per forza di stile in un acrobatico esercizio di giocoleria.
Barenghi, M. (2012). Ma che cosa ci vuol dire, in fondo, Manganelli? Azzardi e congetture su un autore latitante. In D. Ferraris, J.C. Vegliante (a cura di), Le découvrement infini. Dynamiques du dévoilement par l’écriture (pp. 91-104). Paris : Presses Sorbonne Nouvelle.
Ma che cosa ci vuol dire, in fondo, Manganelli? Azzardi e congetture su un autore latitante
BARENGHI, MARIO LUIGI
2012
Abstract
Fin dall’epoca di Letteratura come menzogna Manganelli ha argomentato a lungo e in molte occasioni circa l’assoluta estraneità della creazione letteraria alla vita reale. Un’insistenza troppo esibita per non destare sospetti: al pari dell’idea, altrettanto spesso replicata, che la letteratura non significa nulla e ha il nulla come proprio tema principale. Questo articolo sostiene una tesi diversa. A dispetto dell’apparato retorico che la contraddistingue e dell’impianto platealmente estraneo a ogni intento realistico, l’opera manganelliana ha un carattere squisitamente autoriflessivo. Sedicente "esperto in cose che non esistono", Manganelli non fa che parlare incessantemente di sé, rappresentando – o meglio, mettendo in scena – un teatro mentale in cui uno stato di angoscia insopportabile, che ha radici biografiche solo troppo evidenti, viene mascherato da un fittizio corteggiamento della morte. Lungi dall’essere impermeabile alla significazione, la letteratura diventa così insieme luogo e strumento di uno spettacolare, "cerimoniale" esorcismo: fingersi morente, moribondo, o morto senz’altro – anzi, suscettibile di morire un numero indefinito di volte – è essenzialmente un modo di sopravvivere. Il nucleo generatore dell’opera di Manganelli è dunque qualcosa di simile alla pratica difensiva della tanatosi, trasfigurata per forza di stile in un acrobatico esercizio di giocoleria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.