Numerose ambivalenze, conflitti interpretativi e problemi di traduzione culturale sorgono quando si usa il concetto di care. Per l’antropologia medica, esso ha offerto la possibilità di criticare forme di riduzionismo bio-medico della cura. Allo sviluppo di questa visione morale ha contribuito l’aumento di malattie croniche per cui non esiste “cura”, nel senso di guarigione – cure. Allo stesso tempo, il lavoro di cura informale ha assunto un’importanza strategica nello scenario di ristrutturazione dei servizi pubblici di assistenza. In questo senso, la visione morale del “prendersi cura” è stata accusata di distogliere l’attenzione dalle forme di diseguaglianza sociale che si riproducono nell’ambiente domestico e familiare attraverso la cura stessa. Attraverso il racconto etnografico di un convegno di antropologia medica a Edimburgo e un’ulteriore riflessione su una ricerca fra un servizio territoriale di assistenza ad anziani e caregiver in Emilia-Romagna, questo articolo offre alcune indicazioni analitiche sull’antropologia del prendersi cura. Sostengo che la distinzione fra “cura” e “prendersi cura” non rispecchi fino in fondo ciò che c’è davvero in gioco nelle pratiche di assistenza. Per superare le ambivalenze che derivano dallo stesso linguaggio morale che adotta, è necessario che l’antropologia del prendersi cura sposti l’attenzione sui modi in cui è classificata la relazione fra l’accudimento nella sfera domestica e il sistema istituzionale dei servizi di assistenza. Altrimenti, il rischio è quello di perdere di vista la questione di come, in quali circostanze e con quale sostegno pubblico, vengono assegnate le responsabilità di assistenza.
Diodati, F. (2021). Oltre l’ambivalenza del “care”. Indicazioni analitiche sull’antropologia del prendersi cura. AM, 22(51), 71-101.
Oltre l’ambivalenza del “care”. Indicazioni analitiche sull’antropologia del prendersi cura
Diodati, F
2021
Abstract
Numerose ambivalenze, conflitti interpretativi e problemi di traduzione culturale sorgono quando si usa il concetto di care. Per l’antropologia medica, esso ha offerto la possibilità di criticare forme di riduzionismo bio-medico della cura. Allo sviluppo di questa visione morale ha contribuito l’aumento di malattie croniche per cui non esiste “cura”, nel senso di guarigione – cure. Allo stesso tempo, il lavoro di cura informale ha assunto un’importanza strategica nello scenario di ristrutturazione dei servizi pubblici di assistenza. In questo senso, la visione morale del “prendersi cura” è stata accusata di distogliere l’attenzione dalle forme di diseguaglianza sociale che si riproducono nell’ambiente domestico e familiare attraverso la cura stessa. Attraverso il racconto etnografico di un convegno di antropologia medica a Edimburgo e un’ulteriore riflessione su una ricerca fra un servizio territoriale di assistenza ad anziani e caregiver in Emilia-Romagna, questo articolo offre alcune indicazioni analitiche sull’antropologia del prendersi cura. Sostengo che la distinzione fra “cura” e “prendersi cura” non rispecchi fino in fondo ciò che c’è davvero in gioco nelle pratiche di assistenza. Per superare le ambivalenze che derivano dallo stesso linguaggio morale che adotta, è necessario che l’antropologia del prendersi cura sposti l’attenzione sui modi in cui è classificata la relazione fra l’accudimento nella sfera domestica e il sistema istituzionale dei servizi di assistenza. Altrimenti, il rischio è quello di perdere di vista la questione di come, in quali circostanze e con quale sostegno pubblico, vengono assegnate le responsabilità di assistenza.File | Dimensione | Formato | |
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