La crisi climatica è innanzitutto una grande questione culturale, di cambiamento di paradigmi e di immaginario; a sua volta l’effetto climalterante dell’economia del carbonio staglia come un grande fallimento dell’immaginario culturale (Ghosh, 2016), con cui abbiamo pensato-o reso impensabili- le nostre relazioni ambientali. Siamo tutti partecipi di questa vertigine di fronte ad oggetti troppo ampli o planetari per essere contenuti, troppo tecnici per essere sociali, troppo lontani nello spazio e nel tempo per sentirli vicini o agire il cambiamento sociale, troppo spaventosi per renderli condivisibili e generativi nello spazio pubblico. Ciò anche perché gli stessi steccati disciplinari saltano di fronte ad eventi ambientali così intrecciati all’economia del carbonio (Mitchell, 2011), tanto più che la realtà non è divisa, tanto meno oggi, negli stessi confini. Proprio per districare il groviglio di emozioni, iperoggetti e soggetti di studio compresi sotto cambiamenti climatici, è necessario discernere (il significato originario di krino, crisi) alcune dinamiche cruciali che fanno della crisi climatica un’intima e intensa questione culturale. Innanzitutto, la causa principale sono le dimensioni tutte culturali del carbonio rilasciato in atmosfera, che hanno una loro storia capitalistica e dell’economia del carbonio, una loro idea di natura costruita socialmente, una loro mondanità nelle culture del consumo ad alto consumo energetico. In secondo luogo, i cambiamenti climatici (nel testo CC) rappresentano un amplificatore di dinamiche tutte sociali e culturali del processo di globalizzazione: esasperano i processi di marginalità, di perdita delle economie locali e comunità morali, di migrazioni, di ingiustizia, di impoverimento estremo e di competizione per le risorse presso tante popolazioni. In terzo luogo, il clima che cambia è culturale perché interpella e fa tremare le nostre scale di tempo e di spazio, apre a nuovi scenari connessi ad un’accelerazione delle interazioni globali, degli utilizzi di energia, di produzione degli scarti e di impatto su larga scala anche nell’atmosfera. Connesso a questi nuovi tempi, l’Antropocene viene a demarcare un nuovo tempo «epocale», dove riscopriamo che siamo, a diversi livelli di responsabilità, attori geologici e ambientali per l’impatto e le interazioni che provochiamo a livello planetario. Ci riscopriamo su di una faglia epocale che è vertigine di tempi e di scale, di categorie e metafore per capire il mondo in cambiamento, e come ogni vertigine, tremiamo a guardare oltre il confine stabile. Un quinto aspetto è che culturali sono anche gli ostacoli principali che determinano le risposte dal punto di vista culturale ai CC: sappiamo ma non agiamo, sappiamo chi è il responsabile, multinazionali del fossile e élite di inquinatori ma anche tante moltitudini di consumatori. Le dimensioni di diniego socialmente costruito sono parte attiva del distanziamento che attiviamo, dove rendiamo impensabili socialmente le dinamiche ambientali in atto (Van Aken, 2020). Ci riferiamo non solo alle forme di negazionismo istituzionali o delle multinazionali del fossile e dei capitali finanziari che perseverano ad investire sui fossili, ma di processi sociali in atto a livello sociale e locale: un ripiego difensivo, costruito socialmente, schiacciato sul presente, dal momento che il futuro si mostra impensabile o non riusciamo a condividere desideri di cambiamento. E qui si apre un sesto aspetto nettamente antropologico: le culture nella loro diversità hanno definito l’umano a partire proprio dall’interazione significativa (non indifferente, fuori da interdipendenze) con i soggetti dell’ambiente, alla ricerca continua di relazioni e dei loro limiti. I temi delle molteplici agri-culture, delle diverse economie morali nell’ambiente, dei saperi locali sono oggi un archivio cruciale non solo per il futuro delle stesse popolazioni sempre più ai margini della «spazzatura del mondo» ma tanto più per un «noi» al cuore dell’economia del carbonio, per immaginare alternative. Ciò schiude un settimo aspetto, tutto culturale: riscopriamo la dimensione atmosferica in cui siamo avviluppati, che diventa oggi primario attore politico nel processo di decarbonizzazione. Ma le culture sono sempre state costruzioni di sapere degli e negli ambienti atmosferici, aspetto di cui oggi ci ritroviamo senza alfabeto sociale. Infine, culturale è anche il senso della comunità nel contesto di cambiamenti ambientali: oggi l’atmosfera si ripresenta come common principale, un bene comune con ricadute terrene allarmanti, ma per ora ne percepiamo socialmente solo gli aspetti di “male comune” (Beck, 2017), di interdipendenza perciò negli aspetti distruttivi delle emissioni di carbonio e dei privilegi o della vulnerabilità a loro connessi.

Van Aken, M. (2021). Spazi atmosferici. Culture nei cambiamenti climatici. In M. Giuffrè, M. Turci (a cura di), Traiettorie dello spazio. Luoghi, frizioni, relazioni (pp. 171-203). Milano : Meltemi.

Spazi atmosferici. Culture nei cambiamenti climatici

Van Aken, M
2021

Abstract

La crisi climatica è innanzitutto una grande questione culturale, di cambiamento di paradigmi e di immaginario; a sua volta l’effetto climalterante dell’economia del carbonio staglia come un grande fallimento dell’immaginario culturale (Ghosh, 2016), con cui abbiamo pensato-o reso impensabili- le nostre relazioni ambientali. Siamo tutti partecipi di questa vertigine di fronte ad oggetti troppo ampli o planetari per essere contenuti, troppo tecnici per essere sociali, troppo lontani nello spazio e nel tempo per sentirli vicini o agire il cambiamento sociale, troppo spaventosi per renderli condivisibili e generativi nello spazio pubblico. Ciò anche perché gli stessi steccati disciplinari saltano di fronte ad eventi ambientali così intrecciati all’economia del carbonio (Mitchell, 2011), tanto più che la realtà non è divisa, tanto meno oggi, negli stessi confini. Proprio per districare il groviglio di emozioni, iperoggetti e soggetti di studio compresi sotto cambiamenti climatici, è necessario discernere (il significato originario di krino, crisi) alcune dinamiche cruciali che fanno della crisi climatica un’intima e intensa questione culturale. Innanzitutto, la causa principale sono le dimensioni tutte culturali del carbonio rilasciato in atmosfera, che hanno una loro storia capitalistica e dell’economia del carbonio, una loro idea di natura costruita socialmente, una loro mondanità nelle culture del consumo ad alto consumo energetico. In secondo luogo, i cambiamenti climatici (nel testo CC) rappresentano un amplificatore di dinamiche tutte sociali e culturali del processo di globalizzazione: esasperano i processi di marginalità, di perdita delle economie locali e comunità morali, di migrazioni, di ingiustizia, di impoverimento estremo e di competizione per le risorse presso tante popolazioni. In terzo luogo, il clima che cambia è culturale perché interpella e fa tremare le nostre scale di tempo e di spazio, apre a nuovi scenari connessi ad un’accelerazione delle interazioni globali, degli utilizzi di energia, di produzione degli scarti e di impatto su larga scala anche nell’atmosfera. Connesso a questi nuovi tempi, l’Antropocene viene a demarcare un nuovo tempo «epocale», dove riscopriamo che siamo, a diversi livelli di responsabilità, attori geologici e ambientali per l’impatto e le interazioni che provochiamo a livello planetario. Ci riscopriamo su di una faglia epocale che è vertigine di tempi e di scale, di categorie e metafore per capire il mondo in cambiamento, e come ogni vertigine, tremiamo a guardare oltre il confine stabile. Un quinto aspetto è che culturali sono anche gli ostacoli principali che determinano le risposte dal punto di vista culturale ai CC: sappiamo ma non agiamo, sappiamo chi è il responsabile, multinazionali del fossile e élite di inquinatori ma anche tante moltitudini di consumatori. Le dimensioni di diniego socialmente costruito sono parte attiva del distanziamento che attiviamo, dove rendiamo impensabili socialmente le dinamiche ambientali in atto (Van Aken, 2020). Ci riferiamo non solo alle forme di negazionismo istituzionali o delle multinazionali del fossile e dei capitali finanziari che perseverano ad investire sui fossili, ma di processi sociali in atto a livello sociale e locale: un ripiego difensivo, costruito socialmente, schiacciato sul presente, dal momento che il futuro si mostra impensabile o non riusciamo a condividere desideri di cambiamento. E qui si apre un sesto aspetto nettamente antropologico: le culture nella loro diversità hanno definito l’umano a partire proprio dall’interazione significativa (non indifferente, fuori da interdipendenze) con i soggetti dell’ambiente, alla ricerca continua di relazioni e dei loro limiti. I temi delle molteplici agri-culture, delle diverse economie morali nell’ambiente, dei saperi locali sono oggi un archivio cruciale non solo per il futuro delle stesse popolazioni sempre più ai margini della «spazzatura del mondo» ma tanto più per un «noi» al cuore dell’economia del carbonio, per immaginare alternative. Ciò schiude un settimo aspetto, tutto culturale: riscopriamo la dimensione atmosferica in cui siamo avviluppati, che diventa oggi primario attore politico nel processo di decarbonizzazione. Ma le culture sono sempre state costruzioni di sapere degli e negli ambienti atmosferici, aspetto di cui oggi ci ritroviamo senza alfabeto sociale. Infine, culturale è anche il senso della comunità nel contesto di cambiamenti ambientali: oggi l’atmosfera si ripresenta come common principale, un bene comune con ricadute terrene allarmanti, ma per ora ne percepiamo socialmente solo gli aspetti di “male comune” (Beck, 2017), di interdipendenza perciò negli aspetti distruttivi delle emissioni di carbonio e dei privilegi o della vulnerabilità a loro connessi.
Capitolo o saggio
relazioni atmosferiche semantica del cielo cambiamenti climatici
Italian
Traiettorie dello spazio. Luoghi, frizioni, relazioni
Giuffrè, M; Turci, M
2021
978-88-5519-237-8
Meltemi
171
203
Van Aken, M. (2021). Spazi atmosferici. Culture nei cambiamenti climatici. In M. Giuffrè, M. Turci (a cura di), Traiettorie dello spazio. Luoghi, frizioni, relazioni (pp. 171-203). Milano : Meltemi.
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