La pandemia da SARS-CoV-2 ha aperto ad un’epoca di grandi incertezze (Morin, 2020) in cui diventa necessario “sognare oltre il già sognato, per andare oltre la mera ripetizione dell’identico”, figlia di una hybris umana incapace di riconoscere la complessità (Colazzo, 2017, p.21). Nel lavoro sociale tale necessità diventa un’urgenza, soprattutto nei casi in cui gli schemi di azione abituali si rivelano inadeguati ad affrontare i problemi sociali che la crisi ha fatto emergere. In particolare, la pandemia ha messo in evidenza i limiti di un lavoro sociale fondato prevalentemente sul “principio di prestazione” (ibid., p. 20), conseguente una visione tecnologica della società. Negli ultimi vent’anni, la storia della cooperazione sociale italiana, è l’esempio di come tale principio abbia spesso prevalso sulle tendenze aggregative e innovative delle origini. Nell’area della disabilità, le cooperative sociali hanno avuto il merito di inventare servizi tanto nuovi che la normativa del tempo non era ancora in grado di definirli, cosa che è avvenuta solo anni dopo, quando questi ultimi sono diventati oggetto di accreditamento regionale (Berzacola, Galante, 2014, p. 21). L’adeguamento alle richieste delle norme di riferimento ha tuttavia fatto perdere loro la capacità di leggere il cambiamento e riconoscere nuovi bisogni e domande. Recuperare la dimensione politica del lavoro sociale richiede la responsabilità di andare oltre i “circoli di sicurezza” (Freire, 2012, p.25), che imprigionano le pratiche educative e sociali. Da questo punto di vista, l’operatore sociale, lungi dall’essere un mero erogatore di prestazioni, diviene soggetto e, come tale, leva di cambiamento sociale. Il presente contributo condivide alcune riflessioni in merito ad una ricerca, ancora in corso, all’interno di un sistema di servizi per la disabilità nel Distretto di Lecco, in Lombardia. Attraverso una metodologia di ricerca cooperativa, e un approccio etnografico e autoetnografico, le pratiche professionali nate durante i mesi di emergenza sono divenute oggetto di interrogazione critica all’interno di un percorso di ricerca e formazione (Bove, 2009; Formenti, 2017) con gli operatori sociali e i coordinatori di questi servizi. In particolare la dimensione individuale, sociale e politica è diventata oggetto di un processo di riflessività sistemica (Rigamonti, Formenti, 2020), che sta coinvolgendo i singoli professionisti, le equipe ma anche l’epistemologia dominante, in un dialogo continui tra livelli micro (autoriflessività), meso (riflessività condivisa) e macro (riflessività epsitemica), arrivando anche a sfidare i discorsi dominanti impliciti nel lavoro sociale e mostrando la relazione circolare tra strutture e discorsi istituzionali, giuridici, sociali e storici.
Cuppari, A. (2022). Oltre la prestazione - Risignificare la dimensione politica e sociale dei servizi per la disabilità nell'era del post-covid19. In Pedagogia e politica in occasione dei 100 anni dalla nascita di Paulo Freire. Pensa MultiMedia.
Oltre la prestazione - Risignificare la dimensione politica e sociale dei servizi per la disabilità nell'era del post-covid19
Cuppari, A
2022
Abstract
La pandemia da SARS-CoV-2 ha aperto ad un’epoca di grandi incertezze (Morin, 2020) in cui diventa necessario “sognare oltre il già sognato, per andare oltre la mera ripetizione dell’identico”, figlia di una hybris umana incapace di riconoscere la complessità (Colazzo, 2017, p.21). Nel lavoro sociale tale necessità diventa un’urgenza, soprattutto nei casi in cui gli schemi di azione abituali si rivelano inadeguati ad affrontare i problemi sociali che la crisi ha fatto emergere. In particolare, la pandemia ha messo in evidenza i limiti di un lavoro sociale fondato prevalentemente sul “principio di prestazione” (ibid., p. 20), conseguente una visione tecnologica della società. Negli ultimi vent’anni, la storia della cooperazione sociale italiana, è l’esempio di come tale principio abbia spesso prevalso sulle tendenze aggregative e innovative delle origini. Nell’area della disabilità, le cooperative sociali hanno avuto il merito di inventare servizi tanto nuovi che la normativa del tempo non era ancora in grado di definirli, cosa che è avvenuta solo anni dopo, quando questi ultimi sono diventati oggetto di accreditamento regionale (Berzacola, Galante, 2014, p. 21). L’adeguamento alle richieste delle norme di riferimento ha tuttavia fatto perdere loro la capacità di leggere il cambiamento e riconoscere nuovi bisogni e domande. Recuperare la dimensione politica del lavoro sociale richiede la responsabilità di andare oltre i “circoli di sicurezza” (Freire, 2012, p.25), che imprigionano le pratiche educative e sociali. Da questo punto di vista, l’operatore sociale, lungi dall’essere un mero erogatore di prestazioni, diviene soggetto e, come tale, leva di cambiamento sociale. Il presente contributo condivide alcune riflessioni in merito ad una ricerca, ancora in corso, all’interno di un sistema di servizi per la disabilità nel Distretto di Lecco, in Lombardia. Attraverso una metodologia di ricerca cooperativa, e un approccio etnografico e autoetnografico, le pratiche professionali nate durante i mesi di emergenza sono divenute oggetto di interrogazione critica all’interno di un percorso di ricerca e formazione (Bove, 2009; Formenti, 2017) con gli operatori sociali e i coordinatori di questi servizi. In particolare la dimensione individuale, sociale e politica è diventata oggetto di un processo di riflessività sistemica (Rigamonti, Formenti, 2020), che sta coinvolgendo i singoli professionisti, le equipe ma anche l’epistemologia dominante, in un dialogo continui tra livelli micro (autoriflessività), meso (riflessività condivisa) e macro (riflessività epsitemica), arrivando anche a sfidare i discorsi dominanti impliciti nel lavoro sociale e mostrando la relazione circolare tra strutture e discorsi istituzionali, giuridici, sociali e storici.File | Dimensione | Formato | |
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