Dopo il fallimento epocale di quei regimi politici che nel corso del Novecento avevano tentato di raccogliere l’invito marxiano a superare la filosofia attraverso la prassi rivoluzionaria, il XXI secolo si è aperto all’insegna di un nuovo proclama ideologico, che annunciava la fine della storia e, con essa, delle grandi narrazioni che avevano movimentato la modernità politica. Precocemente confutati dalla più ideologica delle tesi neoliberali – la fine delle ideologie – e dall’urgenza di tornare ad “apprendere il proprio tempo col pensiero”, questi prematuri annunci funebri celebrano il ritorno spettrale di una metafora filosofica speculare al mito platonico della caverna: se nel libro VII della Repubblica Platone inaugura la storia della filosofia politica all’insegna di una metafora visiva che contrappone l’idea solare del bene all’oscurità di un’opprimente ignoranza, l’immagine hegeliana della nottola di Minerva e della talpa configura i rapporti tra filosofia e storia all’insegna di una messa a fuoco senza fine, più che di un finale da contemplare. Dall’incontro fra la lungimiranza crepuscolare e lassista della filosofia e l’operosità cieca e sotterranea della storia sorge la nozione di “spirito del tempo”, impossibile da cogliere quando un’epoca è ormai giunta al suo tramonto per l’insolubilità dei conflitti che la dilaniano. D’altra parte, la necessità di cogliere lo spirito del proprio tempo si fa tanto più impellente quanto meno una certa epoca si lascia immediatamente decifrare dai suoi contemporanei: lungi dal rappresentare la fine della Storia, infatti, il tramonto di un’epoca coincide anzitutto con l’alba di quella successiva. È precisamente quanto sta accadendo oggi, nel bel mezzo di una trasformazione epocale dei rapporti fra democrazia e capitalismo, le cui tracce possono essere facilmente riscontrate sul terreno economico, politico, sociale e ideologico: ne sono un esempio il passaggio dal fordismo al toyotismo e alla finanziarizzazione dell’economia, la transizione da uno spirito capitalistico incentrato su valori meritocratici e tarato su imprese a vasta scala a una nuova configurazione spirituale, fondata sulla flessibilità, sulla polivalenza e sulla mobilità dei lavoratori, la predominanza del discorso del capitalista su quello del padrone e, infine, la prevalenza sistematica dei principi neoliberali di governance e di governabilità su quelli democratici della rappresentanza e della rappresentatività. Questa complessa serie di processi trova oggi una combinazione paradossale nell’elezione di un miliardario a capo degli Stati Uniti d’America, di fronte a cui hanno dovuto arrendersi le profezie di inguaribili ottimisti e con cui, oggi, è chiamata a fare i conti una diagnosi del presente all’altezza di questo nome. È in occasione di fasi di transizione epocale come l’attuale che può tornare utile aggrapparsi alle spalle di un gigante del pensiero come Elias Canetti, riuscito nell’impresa di catturare alcune delle linee di fuga prospettiche del proprio tempo, prima ancora che la sua epoca giungesse al tramonto.

Mazzone, L. (2017). Psychopathology of the US elections. Why is it worth re-reading Canetti today?. IL PONTE, 73(7), 27-34.

Psychopathology of the US elections. Why is it worth re-reading Canetti today?

Mazzone L.
Primo
2017

Abstract

Dopo il fallimento epocale di quei regimi politici che nel corso del Novecento avevano tentato di raccogliere l’invito marxiano a superare la filosofia attraverso la prassi rivoluzionaria, il XXI secolo si è aperto all’insegna di un nuovo proclama ideologico, che annunciava la fine della storia e, con essa, delle grandi narrazioni che avevano movimentato la modernità politica. Precocemente confutati dalla più ideologica delle tesi neoliberali – la fine delle ideologie – e dall’urgenza di tornare ad “apprendere il proprio tempo col pensiero”, questi prematuri annunci funebri celebrano il ritorno spettrale di una metafora filosofica speculare al mito platonico della caverna: se nel libro VII della Repubblica Platone inaugura la storia della filosofia politica all’insegna di una metafora visiva che contrappone l’idea solare del bene all’oscurità di un’opprimente ignoranza, l’immagine hegeliana della nottola di Minerva e della talpa configura i rapporti tra filosofia e storia all’insegna di una messa a fuoco senza fine, più che di un finale da contemplare. Dall’incontro fra la lungimiranza crepuscolare e lassista della filosofia e l’operosità cieca e sotterranea della storia sorge la nozione di “spirito del tempo”, impossibile da cogliere quando un’epoca è ormai giunta al suo tramonto per l’insolubilità dei conflitti che la dilaniano. D’altra parte, la necessità di cogliere lo spirito del proprio tempo si fa tanto più impellente quanto meno una certa epoca si lascia immediatamente decifrare dai suoi contemporanei: lungi dal rappresentare la fine della Storia, infatti, il tramonto di un’epoca coincide anzitutto con l’alba di quella successiva. È precisamente quanto sta accadendo oggi, nel bel mezzo di una trasformazione epocale dei rapporti fra democrazia e capitalismo, le cui tracce possono essere facilmente riscontrate sul terreno economico, politico, sociale e ideologico: ne sono un esempio il passaggio dal fordismo al toyotismo e alla finanziarizzazione dell’economia, la transizione da uno spirito capitalistico incentrato su valori meritocratici e tarato su imprese a vasta scala a una nuova configurazione spirituale, fondata sulla flessibilità, sulla polivalenza e sulla mobilità dei lavoratori, la predominanza del discorso del capitalista su quello del padrone e, infine, la prevalenza sistematica dei principi neoliberali di governance e di governabilità su quelli democratici della rappresentanza e della rappresentatività. Questa complessa serie di processi trova oggi una combinazione paradossale nell’elezione di un miliardario a capo degli Stati Uniti d’America, di fronte a cui hanno dovuto arrendersi le profezie di inguaribili ottimisti e con cui, oggi, è chiamata a fare i conti una diagnosi del presente all’altezza di questo nome. È in occasione di fasi di transizione epocale come l’attuale che può tornare utile aggrapparsi alle spalle di un gigante del pensiero come Elias Canetti, riuscito nell’impresa di catturare alcune delle linee di fuga prospettiche del proprio tempo, prima ancora che la sua epoca giungesse al tramonto.
Editoriale, introduzione, contributo a forum/dibattito
Donald Trump; Psicologia di massa; neoliberalismo; autoritarismo; Le Bon; Freud; Canetti
Italian
2017
73
7
27
34
open
Mazzone, L. (2017). Psychopathology of the US elections. Why is it worth re-reading Canetti today?. IL PONTE, 73(7), 27-34.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/315679
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