Il ruolo che il non profit assume all’interno della collettività ha destato e continua a destare l’attenzione dell’Unione europea sotto diversi punti di vista: nella prospettiva di promuoverne lo sviluppo e la diffusione vista la sua utilità, nella prospettiva di impedirne e prevenirne l’uso per finalità diverse da quelle proprie, quali l’attività di terrorismo internazionale e, più in generale, nella prospettiva di valutarne l’incidenza sullo sviluppo del mercato interno. Proprio quest’ultimo aspetto ha indotto a compiere alcune riflessioni sui più vantaggiosi regimi fiscali che di norma gli Stati membri adottano per il non profit. Due sono, infatti, le conseguenze che possono discendere da questi peculiari regimi e che incidono sul mercato: la prima attiene al rischio che tale disciplina abbia effetti negativi sulla concorrenza, potendo qualificarsi come aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 del T.F.U.E.; la seconda riguarda, invece, l’incidenza della stessa disciplina sulle libertà fondamentali tutelate dal Trattato, potendo essa operare solo a favore dei soggetti residenti con l’effetto di attuare una discriminazione vera e propria a danno dei soggetti non residenti o comunque di restringere le libertà di circolazione. La ricerca si è dunque orientata su questi due profili, andando a indagare in particolare il rapporto esistente tra le disposizioni nazionali relative alle imposte sui redditi e la disciplina comunitaria. Più esattamente la ricerca è stata compiuta nel seguente modo. Nella Parte Prima si è tracciato il quadro del regime fiscale degli enti non profit residenti e non residenti, la cui base è costituita dal d.p.r. 917/1986, ma che è arricchito da leggi specifiche adottate per determinati enti. Nella Parte Seconda si è delineata la nozione degli aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107 del T.F.U.E. così come risultante in special modo dalla copiosa giurisprudenza comunitaria, soffermandosi solo su alcuni e più interessanti elementi: la nozione di impresa, la nozione di selettività e di vantaggio e le giustificazioni che consentono di “salvare” certe norme apparentemente di favore dalla disciplina degli aiuti. In base a questo studio è stato possibile nel contempo valutare se anche la disciplina fiscale del non profit possa essere tacciata di illegittimità o se, invece, sussistano delle ragioni idonee ad escluderla dall’inquadramento negli aiuti di Stato. La Parte Terza, infine, è stata dedicata a verificare gli effetti della diversità di disciplina tra enti residenti e non residenti sulle libertà di circolazione, muovendo dall’analisi della giurisprudenza esistente su questo punto, e seppure riguardante perlopiù l’imposizione delle liberalità a favore degli enti non profit e non la sola imposizione diretta.
(2012). Profili comunitari del regime tributario degli enti non profit. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2012).
Profili comunitari del regime tributario degli enti non profit
ANSELMO, MARIAIDA
2012
Abstract
Il ruolo che il non profit assume all’interno della collettività ha destato e continua a destare l’attenzione dell’Unione europea sotto diversi punti di vista: nella prospettiva di promuoverne lo sviluppo e la diffusione vista la sua utilità, nella prospettiva di impedirne e prevenirne l’uso per finalità diverse da quelle proprie, quali l’attività di terrorismo internazionale e, più in generale, nella prospettiva di valutarne l’incidenza sullo sviluppo del mercato interno. Proprio quest’ultimo aspetto ha indotto a compiere alcune riflessioni sui più vantaggiosi regimi fiscali che di norma gli Stati membri adottano per il non profit. Due sono, infatti, le conseguenze che possono discendere da questi peculiari regimi e che incidono sul mercato: la prima attiene al rischio che tale disciplina abbia effetti negativi sulla concorrenza, potendo qualificarsi come aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 del T.F.U.E.; la seconda riguarda, invece, l’incidenza della stessa disciplina sulle libertà fondamentali tutelate dal Trattato, potendo essa operare solo a favore dei soggetti residenti con l’effetto di attuare una discriminazione vera e propria a danno dei soggetti non residenti o comunque di restringere le libertà di circolazione. La ricerca si è dunque orientata su questi due profili, andando a indagare in particolare il rapporto esistente tra le disposizioni nazionali relative alle imposte sui redditi e la disciplina comunitaria. Più esattamente la ricerca è stata compiuta nel seguente modo. Nella Parte Prima si è tracciato il quadro del regime fiscale degli enti non profit residenti e non residenti, la cui base è costituita dal d.p.r. 917/1986, ma che è arricchito da leggi specifiche adottate per determinati enti. Nella Parte Seconda si è delineata la nozione degli aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107 del T.F.U.E. così come risultante in special modo dalla copiosa giurisprudenza comunitaria, soffermandosi solo su alcuni e più interessanti elementi: la nozione di impresa, la nozione di selettività e di vantaggio e le giustificazioni che consentono di “salvare” certe norme apparentemente di favore dalla disciplina degli aiuti. In base a questo studio è stato possibile nel contempo valutare se anche la disciplina fiscale del non profit possa essere tacciata di illegittimità o se, invece, sussistano delle ragioni idonee ad escluderla dall’inquadramento negli aiuti di Stato. La Parte Terza, infine, è stata dedicata a verificare gli effetti della diversità di disciplina tra enti residenti e non residenti sulle libertà di circolazione, muovendo dall’analisi della giurisprudenza esistente su questo punto, e seppure riguardante perlopiù l’imposizione delle liberalità a favore degli enti non profit e non la sola imposizione diretta.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
phd_unimib_725098.pdf
Accesso Aperto
Tipologia di allegato:
Doctoral thesis
Dimensione
1.42 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.42 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.