Il dibattito politico riguardante la crisi migratoria pare porre sempre di più al centro questioni di ordine pubblico e di gestione delle risorse disponibili, a scapito dei profili umanitari. La questione continua però a porsi su due fronti: da un lato l’impronta securitaria, dall’altro l’accoglienza dei richiedenti asilo. Su entrambi i piani assoluta preminenza assumono le autorità amministrative, centrali e locali, mentre la giurisdizione pare recessiva, giacché l’accesso alla giustizia da parte degli interessati è spesso limitato, per ragioni metagiuridiche. Non di meno, capita che i provvedimenti amministrativi in materia siano sottoposti all’attenzione di giudici che non sono stati aditi volontariamente dai destinatari, come nel caso dei procedimenti penali che riguardano i reati previsti dal T.U. immigrazione. L’intreccio fra disciplina amministrativa e penale si crea laddove numerose fattispecie incriminatrici sono disposte in risposta alla violazione di provvedimenti amministrativi da parte dei destinatari, con la disciplina extrapenale che definisce il fatto di reato, o individua cause di esclusione delle responsabilità. In alcune ipotesi il legislatore ha definito la calibratura di questi rapporti, come nel caso della contravvenzione d’ingresso e soggiorno illegale, per cui ha stabilito la sospensione del procedimento penale in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale. Molto più di frequente, però, capita che, a fronte all’esistenza di atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’integrazione di reati di inosservanza o disobbedienza, i giudicanti si trovino nella “tentazione” di sindacare le modalità attraverso cui l’attività amministrativa si è concretizzata. Torna così in campo l’annosa questione della disapplicazione, ossia quell’espediente processuale che consentirebbe al giudice penale di valutare in via incidentale la legittimità dell’atto la cui violazione costituisce fatto di reato, un espediente che evoca il tema della separazione dei poteri, in una prospettiva più concreta riguarda la necessità di stabilire la fattibilità, i contorni e le condizioni di tale sindacato. L’ambiguità del riparto dei “confini” di giurisdizione però, rischia anzitutto di frammentare le decisioni: se in alcuni casi si vorrà privilegiare la stabilità dell’atto amministrativo e, quindi, l’ambito delle prerogative della P.A., in altri si potrebbe, viceversa, valorizzare la prospettiva garantista. Trattandosi di dichiarazioni di illegittimità, seppur incidenter, di atti che comunque incidono sulla libertà personale, pare necessario interrogarsi sui riflessi che il giudicato penale potrebbe assumere nel proseguo delle vicende amministrative, soprattutto allorquando siano spirati i termini d’impugnazione in sede amministrativa. La necessità di restituire coerenza a eventuali fratture nelle determinazioni dei diversi poteri dello Stato non potrà prescindere da attente valutazioni che tengano conto delle ricadute sulla vita degli individui coinvolti, soprattutto in termini di parità di trattamento.
Lavatelli, M. (2020). Giurisdizione penale, sicurezza pubblica e provvedimenti in materia d’immigrazione, fra garantismo e separazione dei poteri. In Catalano Stefano, Perlo Nicoletta (a cura di), Le rôle des juges face aux crises migratoire, sécuritaire et économique en France et en Italie (pp. 221-235). Editions des Presses de l’Université.
Giurisdizione penale, sicurezza pubblica e provvedimenti in materia d’immigrazione, fra garantismo e separazione dei poteri
Marco Lavatelli
2020
Abstract
Il dibattito politico riguardante la crisi migratoria pare porre sempre di più al centro questioni di ordine pubblico e di gestione delle risorse disponibili, a scapito dei profili umanitari. La questione continua però a porsi su due fronti: da un lato l’impronta securitaria, dall’altro l’accoglienza dei richiedenti asilo. Su entrambi i piani assoluta preminenza assumono le autorità amministrative, centrali e locali, mentre la giurisdizione pare recessiva, giacché l’accesso alla giustizia da parte degli interessati è spesso limitato, per ragioni metagiuridiche. Non di meno, capita che i provvedimenti amministrativi in materia siano sottoposti all’attenzione di giudici che non sono stati aditi volontariamente dai destinatari, come nel caso dei procedimenti penali che riguardano i reati previsti dal T.U. immigrazione. L’intreccio fra disciplina amministrativa e penale si crea laddove numerose fattispecie incriminatrici sono disposte in risposta alla violazione di provvedimenti amministrativi da parte dei destinatari, con la disciplina extrapenale che definisce il fatto di reato, o individua cause di esclusione delle responsabilità. In alcune ipotesi il legislatore ha definito la calibratura di questi rapporti, come nel caso della contravvenzione d’ingresso e soggiorno illegale, per cui ha stabilito la sospensione del procedimento penale in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale. Molto più di frequente, però, capita che, a fronte all’esistenza di atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’integrazione di reati di inosservanza o disobbedienza, i giudicanti si trovino nella “tentazione” di sindacare le modalità attraverso cui l’attività amministrativa si è concretizzata. Torna così in campo l’annosa questione della disapplicazione, ossia quell’espediente processuale che consentirebbe al giudice penale di valutare in via incidentale la legittimità dell’atto la cui violazione costituisce fatto di reato, un espediente che evoca il tema della separazione dei poteri, in una prospettiva più concreta riguarda la necessità di stabilire la fattibilità, i contorni e le condizioni di tale sindacato. L’ambiguità del riparto dei “confini” di giurisdizione però, rischia anzitutto di frammentare le decisioni: se in alcuni casi si vorrà privilegiare la stabilità dell’atto amministrativo e, quindi, l’ambito delle prerogative della P.A., in altri si potrebbe, viceversa, valorizzare la prospettiva garantista. Trattandosi di dichiarazioni di illegittimità, seppur incidenter, di atti che comunque incidono sulla libertà personale, pare necessario interrogarsi sui riflessi che il giudicato penale potrebbe assumere nel proseguo delle vicende amministrative, soprattutto allorquando siano spirati i termini d’impugnazione in sede amministrativa. La necessità di restituire coerenza a eventuali fratture nelle determinazioni dei diversi poteri dello Stato non potrà prescindere da attente valutazioni che tengano conto delle ricadute sulla vita degli individui coinvolti, soprattutto in termini di parità di trattamento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.