Nel mio lavoro di ricerca ho preso le mosse da un’analisi storico-sociale che ha individuato nella rimozione della morte e nella progressiva erosione delle pratiche comunitarie di lutto una delle caratteristiche della nostra società. In particolare, servendomi della categoria del narcisismo (nello specifico secondo l’accezione datane da Cristopher Lash) ho avanzato l’ipotesi di una relazione tra “cultura del narcisismo” ed il problema della separazione, testimoniata anche dalla diffusione delle, cosiddette, “nuove patologie”. Tuttavia, prima ancora di manifestarsi in chiave patologica, il nodo esistenziale del lutto rientra a pieno titolo in quelle dolorose esperienze apicali di crisi, che contengono in sé un alto potenziale di trasformatività, così come un concreto rischio di smarrimento. Privato dei tradizionali contenitori culturali, che fungevano da mediatori tra sé e la propria sofferenza, l’individuo oggi si trova solo di fronte al dolore della perdita. Di qui la responsabilità per l’educazione, intesa come pratica culturale volta a sostenere il soggetto nel faticoso compito di significazione degli accadimenti della vita, di presidiare “pedagogicamente” i momenti di crisi e, quindi, di porre il tema del lutto al centro della sua riflessione teorica. Ciò è tanto più necessario nel momento in cui, laddove ponga come suo obiettivo l’autonomia del soggetto, una dimensione luttuosa risulta essere sottesa alla stessa pratica educativa e quindi quella del lutto si presenta coma una possibile categoria interpretativa da cui guardare ed interrogare il lavoro pedagogico medesimo. La mia ricerca, pertanto, ha preso due direzioni: da una parte, a partire da ciò che esiste già sul campo, ha cercato di ipotizzare l’allestimento di esperienze in grado di sostenere gli individui nell’elaborazione della perdita; dall’altro ha pensato percorsi di secondo livello che invitassero gli educatori a riflettere biograficamente sul tema della separazione, in funzione di una maggior consapevolezza nel loro operare. In entrambi i casi la scrittura è stata scelta come medium privilegiato per questo lavoro di introspezione, comunque sia sempre proposto all’interno di setting di gruppo. All’interno del paradigma narrativo, oltre a sottolineare la potenzialità della scrittura autobiografica per la costruzione identitaria, nonché il suo valore decisivo nell’introdurre ad un livello di riflessività “meta” in grado di “condensare” l’esperienza, ho cercato di indagare la specificità di questo mezzo in relazione allo specifico tema del lutto. In particolare, muovendo da un parallelismo tra lavoro di memoria e lavoro di lutto, ho evidenziato come la parola scritta, in quanto simbolo, rimandi inevitabilmente ad un’assenza. Scrivere i propri ricordi significa di per sé instaurare una distanza rispetto a ciò che è stato. Nel momento in cui si è in grado di tollerare il senso di perdita in-scritto in questo gesto, guadagniamo quel distacco necessario all’elaborazione. Allo stesso tempo, è lo stesso carattere postumo della scrittura a farne strumento principe di testimonianza. In questo senso, scrivere la perdita ha il valore di un gesto di restituzione nei confronti di chi non c’è più. Si tratta in certo qual modo di re-istituire un legame, di mettere in scacco il fluire del tempo. Tuttavia ciò che prende corpo non è un nostalgico ed inerte monumento, giacchè lo scrittura porta in sé un intrinseco carattere dinamico. Restituendoci un protagonismo sugli eventi avvenuti che probabilmente non sentivamo di avere nel momento in cui si sono verificati, la scrittura introduce in uno spazio finzionale dove è possibile sperimentare interpretazioni diverse, proponendosi così come una possibile risposta creativa al dolore.

(2011). Lutto e formazione di sè. Prospettive di consulenza autobiografica. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2011).

Lutto e formazione di sè. Prospettive di consulenza autobiografica

MAPELLI, MARIO
2011

Abstract

Nel mio lavoro di ricerca ho preso le mosse da un’analisi storico-sociale che ha individuato nella rimozione della morte e nella progressiva erosione delle pratiche comunitarie di lutto una delle caratteristiche della nostra società. In particolare, servendomi della categoria del narcisismo (nello specifico secondo l’accezione datane da Cristopher Lash) ho avanzato l’ipotesi di una relazione tra “cultura del narcisismo” ed il problema della separazione, testimoniata anche dalla diffusione delle, cosiddette, “nuove patologie”. Tuttavia, prima ancora di manifestarsi in chiave patologica, il nodo esistenziale del lutto rientra a pieno titolo in quelle dolorose esperienze apicali di crisi, che contengono in sé un alto potenziale di trasformatività, così come un concreto rischio di smarrimento. Privato dei tradizionali contenitori culturali, che fungevano da mediatori tra sé e la propria sofferenza, l’individuo oggi si trova solo di fronte al dolore della perdita. Di qui la responsabilità per l’educazione, intesa come pratica culturale volta a sostenere il soggetto nel faticoso compito di significazione degli accadimenti della vita, di presidiare “pedagogicamente” i momenti di crisi e, quindi, di porre il tema del lutto al centro della sua riflessione teorica. Ciò è tanto più necessario nel momento in cui, laddove ponga come suo obiettivo l’autonomia del soggetto, una dimensione luttuosa risulta essere sottesa alla stessa pratica educativa e quindi quella del lutto si presenta coma una possibile categoria interpretativa da cui guardare ed interrogare il lavoro pedagogico medesimo. La mia ricerca, pertanto, ha preso due direzioni: da una parte, a partire da ciò che esiste già sul campo, ha cercato di ipotizzare l’allestimento di esperienze in grado di sostenere gli individui nell’elaborazione della perdita; dall’altro ha pensato percorsi di secondo livello che invitassero gli educatori a riflettere biograficamente sul tema della separazione, in funzione di una maggior consapevolezza nel loro operare. In entrambi i casi la scrittura è stata scelta come medium privilegiato per questo lavoro di introspezione, comunque sia sempre proposto all’interno di setting di gruppo. All’interno del paradigma narrativo, oltre a sottolineare la potenzialità della scrittura autobiografica per la costruzione identitaria, nonché il suo valore decisivo nell’introdurre ad un livello di riflessività “meta” in grado di “condensare” l’esperienza, ho cercato di indagare la specificità di questo mezzo in relazione allo specifico tema del lutto. In particolare, muovendo da un parallelismo tra lavoro di memoria e lavoro di lutto, ho evidenziato come la parola scritta, in quanto simbolo, rimandi inevitabilmente ad un’assenza. Scrivere i propri ricordi significa di per sé instaurare una distanza rispetto a ciò che è stato. Nel momento in cui si è in grado di tollerare il senso di perdita in-scritto in questo gesto, guadagniamo quel distacco necessario all’elaborazione. Allo stesso tempo, è lo stesso carattere postumo della scrittura a farne strumento principe di testimonianza. In questo senso, scrivere la perdita ha il valore di un gesto di restituzione nei confronti di chi non c’è più. Si tratta in certo qual modo di re-istituire un legame, di mettere in scacco il fluire del tempo. Tuttavia ciò che prende corpo non è un nostalgico ed inerte monumento, giacchè lo scrittura porta in sé un intrinseco carattere dinamico. Restituendoci un protagonismo sugli eventi avvenuti che probabilmente non sentivamo di avere nel momento in cui si sono verificati, la scrittura introduce in uno spazio finzionale dove è possibile sperimentare interpretazioni diverse, proponendosi così come una possibile risposta creativa al dolore.
DEMETRIO, DUCCIO
MADERA, ROMANO
Lutto; formazione di sè; scrittura; dolore; separazione
M-PED/01 - PEDAGOGIA GENERALE E SOCIALE
Italian
1-lug-2011
Scuola di Dottorato in Scienze Umane
SCIENZE DELLA FORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE - 47R
23
2009/2010
open
(2011). Lutto e formazione di sè. Prospettive di consulenza autobiografica. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2011).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/29457
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