Lo scopo del lavoro è duplice. In primo luogo si intende verificare in un caso particolare come le norme civili e criminali e le procedure di giudizio abbiano concorso a sancire la posizione di inclusione ed esclusione sociale degli individui che si rivolgevano ai tribunali o incappavano nelle loro inquisizioni, a qualificarne o a degradarne lo status. Molti studi hanno analizzato il trattamento della marginalità di quella fascia di popolazione in partenza più debole, dai poveri ai vagabondi costretti a vivere di espedienti. Nel nostro caso, invece, vedremo come la coesione della comunità si sia costruita nell’opposizione ad antagonisti di estrazione elevata: nobili ricchi e dotati di seguiti armati, sostenuti da un’ampia rete di relazioni. Si potrà quindi mettere a fuoco meglio, nelle vicende di questi «principali», la capacità della condizione di forestiero e immigrato di qualificare o squalificare, da sola, la posizione della persona. In secondo luogo si vorrebbero approfondire le ragioni dell’antagonismo politico e culturale che alla fine del medioevo inaspriva i rapporti fra i poteri centrali e le società locali: proprio i peculiari attributi giurisdizionali del comune di Bormio scoprirono la tensione fra due disegni politici e due universi di valore. Da un lato, infatti, i sudditi concepirono il progetto di una giustizia che operasse senza interferenze entro i confini di un territorio determinato, guidata da un testo normativo proprio, amministrata da magistrature comunitarie dotate di competenza piena sugli abitanti, nei cui ranghi il podestà proveniente dall’esterno sarebbe stato affiancato da personale locale. Dall’altro operava la vocazione del principe a contrastare, nel nome di una giustizia superiore agli ordinamenti positivi, il relativismo normativo che avrebbe trasformato il dominio in un arcipelago di isole semi-autonome, in cui, nell’ottica delle autorità centrali, sarebbe stato possibile codificare ogni arbitrio, specialmente ai danni dei soggetti posti ai margini delle comunità particolari, e perseguire qualsiasi desiderio irrazionale.
Della Misericordia, M. (2010). Foresteri mal ricolti da questa comunità. Giustizia, identità locale ed esclusione a Bormio nel Quattrocento. BOLLETTINO STORICO ALTA VALTELLINA, 13, 79-126.
Foresteri mal ricolti da questa comunità. Giustizia, identità locale ed esclusione a Bormio nel Quattrocento
Della Misericordia, M
2010
Abstract
Lo scopo del lavoro è duplice. In primo luogo si intende verificare in un caso particolare come le norme civili e criminali e le procedure di giudizio abbiano concorso a sancire la posizione di inclusione ed esclusione sociale degli individui che si rivolgevano ai tribunali o incappavano nelle loro inquisizioni, a qualificarne o a degradarne lo status. Molti studi hanno analizzato il trattamento della marginalità di quella fascia di popolazione in partenza più debole, dai poveri ai vagabondi costretti a vivere di espedienti. Nel nostro caso, invece, vedremo come la coesione della comunità si sia costruita nell’opposizione ad antagonisti di estrazione elevata: nobili ricchi e dotati di seguiti armati, sostenuti da un’ampia rete di relazioni. Si potrà quindi mettere a fuoco meglio, nelle vicende di questi «principali», la capacità della condizione di forestiero e immigrato di qualificare o squalificare, da sola, la posizione della persona. In secondo luogo si vorrebbero approfondire le ragioni dell’antagonismo politico e culturale che alla fine del medioevo inaspriva i rapporti fra i poteri centrali e le società locali: proprio i peculiari attributi giurisdizionali del comune di Bormio scoprirono la tensione fra due disegni politici e due universi di valore. Da un lato, infatti, i sudditi concepirono il progetto di una giustizia che operasse senza interferenze entro i confini di un territorio determinato, guidata da un testo normativo proprio, amministrata da magistrature comunitarie dotate di competenza piena sugli abitanti, nei cui ranghi il podestà proveniente dall’esterno sarebbe stato affiancato da personale locale. Dall’altro operava la vocazione del principe a contrastare, nel nome di una giustizia superiore agli ordinamenti positivi, il relativismo normativo che avrebbe trasformato il dominio in un arcipelago di isole semi-autonome, in cui, nell’ottica delle autorità centrali, sarebbe stato possibile codificare ogni arbitrio, specialmente ai danni dei soggetti posti ai margini delle comunità particolari, e perseguire qualsiasi desiderio irrazionale.File | Dimensione | Formato | |
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