Le fonti lombarde usano, a proposito dei conflitti fra comunità rurali per ragioni di confine, a causa di boschi o pascoli contesi, il lessico vendicatorio. Da questa particolare prospettiva, pertanto, si è svolta un’analisi delle relazioni violente fra tali soggetti, specialmente nell’area alpina del dominio degli Sforza. Delineati i modi e le circostanze delle vendette di comunità, si sono identificate le regole che impedivano l’esplosione di una brutalità cieca. Poi si è considerata la capacità di questi atti di costruire il soggetto stesso che li compiva, un’istituzione territoriale che ha bisogno di ribadire il vincolo solidaristico fra i suoi membri, coinvolgendoli tutti in un moto corale, pur nella diversità dei loro ruoli e delle loro posizioni, delle età e del genere, e di delimitare lo spazio della propria azione. Si è infine approfondita la tradizione e il quadro ideale entro cui la comunità poteva giustificare l’uso della forza: le norme che legittimavano la violenza individuale e collettiva all’interno di un regime principesco del tardo medioevo, e il modo in cui le comunità la organizzavano e canalizzavano, specialmente mediante la pratica del "currere" al "rumor". La comunità, così, poteva presentare le azioni di forza come il prolungamento delle sue riconosciute prerogative giurisdizionali e di polizia, pure ormai stigmatizzate dai duchi e dai loro agenti quando divenivano eversive del buon ordine del dominio, nel quale il principe si poneva come l’unico soggetto cui competeva "fare rasone".

DELLA MISERICORDIA, M. (2010). Comunità, istituzioni giudiziarie, conflitto e pace nella montagna lombarda nel tardo medioevo. MÉLANGES DE L'ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME. MOYEN AGE, 122, 139-172.

Comunità, istituzioni giudiziarie, conflitto e pace nella montagna lombarda nel tardo medioevo

DELLA MISERICORDIA, MASSIMO GIUSEPPE
2010

Abstract

Le fonti lombarde usano, a proposito dei conflitti fra comunità rurali per ragioni di confine, a causa di boschi o pascoli contesi, il lessico vendicatorio. Da questa particolare prospettiva, pertanto, si è svolta un’analisi delle relazioni violente fra tali soggetti, specialmente nell’area alpina del dominio degli Sforza. Delineati i modi e le circostanze delle vendette di comunità, si sono identificate le regole che impedivano l’esplosione di una brutalità cieca. Poi si è considerata la capacità di questi atti di costruire il soggetto stesso che li compiva, un’istituzione territoriale che ha bisogno di ribadire il vincolo solidaristico fra i suoi membri, coinvolgendoli tutti in un moto corale, pur nella diversità dei loro ruoli e delle loro posizioni, delle età e del genere, e di delimitare lo spazio della propria azione. Si è infine approfondita la tradizione e il quadro ideale entro cui la comunità poteva giustificare l’uso della forza: le norme che legittimavano la violenza individuale e collettiva all’interno di un regime principesco del tardo medioevo, e il modo in cui le comunità la organizzavano e canalizzavano, specialmente mediante la pratica del "currere" al "rumor". La comunità, così, poteva presentare le azioni di forza come il prolungamento delle sue riconosciute prerogative giurisdizionali e di polizia, pure ormai stigmatizzate dai duchi e dai loro agenti quando divenivano eversive del buon ordine del dominio, nel quale il principe si poneva come l’unico soggetto cui competeva "fare rasone".
Articolo in rivista - Articolo scientifico
Giustizia, conflitto, stato
Italian
2010
122
139
172
none
DELLA MISERICORDIA, M. (2010). Comunità, istituzioni giudiziarie, conflitto e pace nella montagna lombarda nel tardo medioevo. MÉLANGES DE L'ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME. MOYEN AGE, 122, 139-172.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/21595
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