A partire da premesse culturaliste intendo affrontare la questione spinosa e molto dibattuta della violenza organizzata dell’Isis in relazione all’appartenenza religiosa di chi compie atti violenti in suo nome. Dopo aver individuato l’area mediorientale e, in particolare, la Siria come uno dei luoghi più critici al mondo sotto il profilo delle morti nei conflitti armati (par. 1) e ricostruito brevemente la nascita dell’ISIS in Iraq e la sua espansione in Siria (par. 2), discuterò brevemente se l’ISIS sia un fenomeno religioso o politico (par. 3) per poi concentrarmi sui cd foreign fighters, persone che lasciano il proprio Paese per recarsi in zone di guerra a combattere a fianco di gruppi armati (nel nostro caso in Siria a fianco dell’ISIS) e sui militanti islamisti che in nome dell’ISIS commettono atti terroristici in parti del mondo a volte anche molto lontane dalle aree d’influenza, di radicamento o di conquista del sedicente Stato Islamico (par. 4, 5 e 6). L’intento di questo breve saggio non è quello di fornire una risposta definitiva circa il ruolo giocato dall’appartenenza religiosa nelle motivazioni ad agire in modo violento. Al contrario, il mio proposito è quello di ricostruire i termini del dibattito proponendo una chiave di lettura criminologica che, a partire dai lavori di matrice interazionista e culturalista, eviti di mettere in primo piano gli aspetti psicopatologici (“agiscono in modo violento perché sono matti”) o quelli etico-religiosi (“agiscono in modo violento perché la loro religione spinge al fondamentalismo).
Cornelli, R. (2018). Violenza organizzata e appartenenza religiosa. Il caso dell’Isis. STATO, CHIESE E PLURALISMO CONFESSIONALE, 2018(33), 1-31.
Violenza organizzata e appartenenza religiosa. Il caso dell’Isis
Cornelli, R
2018
Abstract
A partire da premesse culturaliste intendo affrontare la questione spinosa e molto dibattuta della violenza organizzata dell’Isis in relazione all’appartenenza religiosa di chi compie atti violenti in suo nome. Dopo aver individuato l’area mediorientale e, in particolare, la Siria come uno dei luoghi più critici al mondo sotto il profilo delle morti nei conflitti armati (par. 1) e ricostruito brevemente la nascita dell’ISIS in Iraq e la sua espansione in Siria (par. 2), discuterò brevemente se l’ISIS sia un fenomeno religioso o politico (par. 3) per poi concentrarmi sui cd foreign fighters, persone che lasciano il proprio Paese per recarsi in zone di guerra a combattere a fianco di gruppi armati (nel nostro caso in Siria a fianco dell’ISIS) e sui militanti islamisti che in nome dell’ISIS commettono atti terroristici in parti del mondo a volte anche molto lontane dalle aree d’influenza, di radicamento o di conquista del sedicente Stato Islamico (par. 4, 5 e 6). L’intento di questo breve saggio non è quello di fornire una risposta definitiva circa il ruolo giocato dall’appartenenza religiosa nelle motivazioni ad agire in modo violento. Al contrario, il mio proposito è quello di ricostruire i termini del dibattito proponendo una chiave di lettura criminologica che, a partire dai lavori di matrice interazionista e culturalista, eviti di mettere in primo piano gli aspetti psicopatologici (“agiscono in modo violento perché sono matti”) o quelli etico-religiosi (“agiscono in modo violento perché la loro religione spinge al fondamentalismo).File | Dimensione | Formato | |
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