Un'onda, un surfista. La surf etiquette parla chiaro: non si può condividere un'onda; il surfista più vicino al picco ha la priorità. Questa regola comprende però delle eccezioni, in base alla posizione che ciascun surfista occupa nella gerarchia di ogni spot, che dipende prevalentemente dalla sua abilità nel "dominare" la lineup, misurata secondo i criteri estetici e performativi di una cultura sportiva prevalentemente bianca e maschile, strutturata sul modello neoliberista (individualismo, edonismo, self-empowerment). Negli affollati break della Gold Coast, questo ordinamento esclusivo limita l'accesso alle onde per i "kook" (gli "imbranati"), i turisti e le donne, che stentano ad affermarsi come soggetti sportivi in un immaginario in cui vengono spesso presentate come oggetti. Allo stesso tempo, però, esso definisce una cerchia di individui legittimati ad agire in quell'ambiente, promuovendone le relazioni e offrendo loro una cornice entro cui sviluppare un senso di appartenenza che, nel contesto sociale mobile della Gold Coast, assume un ruolo fondamentale. Il surf contribuisce infatti a delineare patrimonio e identità culturale della città. Sul campo, l'etnografo è dunque costretto a negoziare la propria posizione, mostrando di comprendere le gerarchie vigenti, e chiarendo che ciò a cui aspira non è condividere lo status di surfista, ma comprenderne le dinamiche. A un approccio diretto, tipo Wacquant, sono allora preferibili metodi diversi: osservazione; interviste; analisi delle narrazioni. La "surfing culture" tende infatti a strutturarsi in forma narrativa. Sentendosi protagonisti dei loro racconti, i surfisti li condividono volentieri con l'antropologo, che invece non può che assumere il ruolo di spettatore.
Nardini, D. (2017). Ruling the lineup. Surf ed etica neoliberista sulla Gold Coast australiana. Intervento presentato a: Convegno Società Italiana Antropologia Applicata (SIAA), Catania (Italy).
Ruling the lineup. Surf ed etica neoliberista sulla Gold Coast australiana
nardini
2017
Abstract
Un'onda, un surfista. La surf etiquette parla chiaro: non si può condividere un'onda; il surfista più vicino al picco ha la priorità. Questa regola comprende però delle eccezioni, in base alla posizione che ciascun surfista occupa nella gerarchia di ogni spot, che dipende prevalentemente dalla sua abilità nel "dominare" la lineup, misurata secondo i criteri estetici e performativi di una cultura sportiva prevalentemente bianca e maschile, strutturata sul modello neoliberista (individualismo, edonismo, self-empowerment). Negli affollati break della Gold Coast, questo ordinamento esclusivo limita l'accesso alle onde per i "kook" (gli "imbranati"), i turisti e le donne, che stentano ad affermarsi come soggetti sportivi in un immaginario in cui vengono spesso presentate come oggetti. Allo stesso tempo, però, esso definisce una cerchia di individui legittimati ad agire in quell'ambiente, promuovendone le relazioni e offrendo loro una cornice entro cui sviluppare un senso di appartenenza che, nel contesto sociale mobile della Gold Coast, assume un ruolo fondamentale. Il surf contribuisce infatti a delineare patrimonio e identità culturale della città. Sul campo, l'etnografo è dunque costretto a negoziare la propria posizione, mostrando di comprendere le gerarchie vigenti, e chiarendo che ciò a cui aspira non è condividere lo status di surfista, ma comprenderne le dinamiche. A un approccio diretto, tipo Wacquant, sono allora preferibili metodi diversi: osservazione; interviste; analisi delle narrazioni. La "surfing culture" tende infatti a strutturarsi in forma narrativa. Sentendosi protagonisti dei loro racconti, i surfisti li condividono volentieri con l'antropologo, che invece non può che assumere il ruolo di spettatore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.