L’intervento si propone di esplorare la relazione che lega gioco e memoria attraverso la disciplina artistica del funambolismo. Il funambolismo è quell’arte che fa dell’equilibrio il suo campo di ricerca elettivo e il funambolo è colui che, grazie a una reiterata pratica di disciplinamento psicofisico, è in grado di giungere a una padronanza assoluta della tecnica, tale da esperire un equilibrio armonico tra memoria e oblio. Nello specifico si proverrà ad accostare memoria incarnata e oblio di sé, due termini apparentemente lontani, ma che all’interno dello spazio liminale del gioco sembrano trovare una bilanciata correlazione. La dimensione ludica infatti, grazie al suo essere spazio - tempo di reiterazione extra ordinario, consente un’immersione totale nel qui e ora dell’azione compiuta, tale da far dimenticare tutto ciò che non è parte di essa. Nel gioco, così come nel funambolismo, assistiamo all’emergere di gesti che appaiono naturali e senza sforzo ma che in realtà richiedono un dispendio energetico altissimo per essere appresi e compiuti, un’energia di lusso, complessa e apparentemente superflua (Barba, 1993). Il performer ci insegna che solo dimenticando se stessi, sospendendo il proprio Io, è possibile attraversare il cavo. A centinaia di metri dall’altezza, un gesto semplice come quello di camminare diventa estremamente complesso e ardito. A entrare in gioco non è il solo ricordo mentale ma qualcosa di più raffinato, siamo d’innanzi a un processo di intussuscepzione (Jousse, 1979) tale da coinvolgere l’intero corpo-mente del funambolo, per trasformare il gesto compiuto in memoria incarnata (Varela, Thompson e Rosch 1992) ovvero radicata nel corpo dell'artista e nell'istante dell’azione performativa. Una disciplina, quella del funambolismo, che per essere pienamente padroneggiata necessita di essere esperita tecnicamente per almeno dieci anni (Csíkszentmihályi, 1990), dieci anni di devozione totale e intensa concentrazione, solo così sarà possibile memorizzare al fine di dimenticare. Un invito a vivere secondo la precisione di un disegno, per impadronirsi di una tecnica al punto da dimenticarsene poiché è divenuta tecnica che nega se stessa, posseduta e superata. Proprio come accade nella dimensione ludica, dove risiede la possibilità di riconoscere e oltre-passare gli schemi automatici di comportamento condizionato per sperimentare una reiterazione appassionata e ritualizzata, aprendo a una ricettività più intensa, capace di abbracciare il mondo circostante.

Schiavone, G. (2017). Oltre la tecnica: l'oblio di sé. Dimensione ludica, memoria incarnata e funambolismo. Intervento presentato a: Tavola Esagonale. Gioco e Memoria, Modena.

Oltre la tecnica: l'oblio di sé. Dimensione ludica, memoria incarnata e funambolismo

Schiavone, G.
2017

Abstract

L’intervento si propone di esplorare la relazione che lega gioco e memoria attraverso la disciplina artistica del funambolismo. Il funambolismo è quell’arte che fa dell’equilibrio il suo campo di ricerca elettivo e il funambolo è colui che, grazie a una reiterata pratica di disciplinamento psicofisico, è in grado di giungere a una padronanza assoluta della tecnica, tale da esperire un equilibrio armonico tra memoria e oblio. Nello specifico si proverrà ad accostare memoria incarnata e oblio di sé, due termini apparentemente lontani, ma che all’interno dello spazio liminale del gioco sembrano trovare una bilanciata correlazione. La dimensione ludica infatti, grazie al suo essere spazio - tempo di reiterazione extra ordinario, consente un’immersione totale nel qui e ora dell’azione compiuta, tale da far dimenticare tutto ciò che non è parte di essa. Nel gioco, così come nel funambolismo, assistiamo all’emergere di gesti che appaiono naturali e senza sforzo ma che in realtà richiedono un dispendio energetico altissimo per essere appresi e compiuti, un’energia di lusso, complessa e apparentemente superflua (Barba, 1993). Il performer ci insegna che solo dimenticando se stessi, sospendendo il proprio Io, è possibile attraversare il cavo. A centinaia di metri dall’altezza, un gesto semplice come quello di camminare diventa estremamente complesso e ardito. A entrare in gioco non è il solo ricordo mentale ma qualcosa di più raffinato, siamo d’innanzi a un processo di intussuscepzione (Jousse, 1979) tale da coinvolgere l’intero corpo-mente del funambolo, per trasformare il gesto compiuto in memoria incarnata (Varela, Thompson e Rosch 1992) ovvero radicata nel corpo dell'artista e nell'istante dell’azione performativa. Una disciplina, quella del funambolismo, che per essere pienamente padroneggiata necessita di essere esperita tecnicamente per almeno dieci anni (Csíkszentmihályi, 1990), dieci anni di devozione totale e intensa concentrazione, solo così sarà possibile memorizzare al fine di dimenticare. Un invito a vivere secondo la precisione di un disegno, per impadronirsi di una tecnica al punto da dimenticarsene poiché è divenuta tecnica che nega se stessa, posseduta e superata. Proprio come accade nella dimensione ludica, dove risiede la possibilità di riconoscere e oltre-passare gli schemi automatici di comportamento condizionato per sperimentare una reiterazione appassionata e ritualizzata, aprendo a una ricettività più intensa, capace di abbracciare il mondo circostante.
abstract
Pedagogia del gioco, funambolismo, memoria incarnata
Italian
Tavola Esagonale. Gioco e Memoria
2017
2017
none
Schiavone, G. (2017). Oltre la tecnica: l'oblio di sé. Dimensione ludica, memoria incarnata e funambolismo. Intervento presentato a: Tavola Esagonale. Gioco e Memoria, Modena.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/199211
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