Il tema interpella settori di studio diversi che si fondano su concetti diversi, con rilevanza giuridica diversa. In termini descrittivi, i due settori sono, rispettivamente, il «pluralismo culturale» ed il «pluralismo linguistico»; mentre l’«identità europea» appare come principio/obiettivo dell’UE. Infatti, dal titolo si ipotizza che la realizzazione tanto del primo settore, quanto del secondo contribuirebbe a costruire l’identità europea, da intendersi sia dell’istituzione, sia del popolo dotato di cittadinanza appunto europea. Sempre dal titolo emerge infine che l’attività pubblica di «salvaguardia» sembra essere lo strumento istituzionale chiamato a sostenere tanto il «pluralismo culturale», quanto il «pluralismo linguistico» in funzione identitaria europea, nel duplice significato ricordato. Partendo dal presupposto che l’identità europea è effettivamente la bussola verso la quale tanto il «pluralismo culturale», quanto il «pluralismo linguistico» debbono tendere, nel tentativo di poter sistematizzare l’eterogeneo scenario concettuale, da un punto di vista pubblicistico multilevel, occorre separare l’analisi dei due settori, anche perché, in realtà, l’attività pubblica ad essi riconnessa non sempre, o meglio non solo, si riassume nella salvaguardia. Nella letteratura scientifica è oramai consolidata l’idea secondo cui il «pluralismo culturale» si abbini all’attività pubblica di «promozione», in cui includere anche la «salvaguardia», mentre al «pluralismo linguistico» si ricolleghi piuttosto l’attività di «tutela», sia negativa, sia positiva. Tutto ciò perché, mentre il «pluralismo culturale» sembra ricondursi alla categoria delle libertà culturali collettive, il «pluralismo linguistico» (entro i confini dell’UE) pare maggiormente ascrivibile alla categoria dei diritti fondamentali dell’uomo, con le conseguenti diverse azioni accennate. Nella relazione si affronteranno tutti questi concetti avendo come punto di riferimento il diritto dell’UE (primario e derivato), il diritto internazionale regionale (UNESCO e Consiglio d’Europa in particolare) cui il primo è profondamente debitore, ed il diritto interno che ancora con il primo non può non confrontarsi proprio a partire dalla nozione di «pluralismo». Infatti, quest’ultima è da ritenere più una nozione statale che sovranazionale dove, almeno in relazione alla cultura, prevale sicuramente la formula «diversità culturale». Del resto, non a caso, il motto dell’UE è proprio «Unità nella diversità». L’opzione della nozione «pluralismo» lascerebbe intendere un collegamento con un diritto oggettivo ‘chiuso’ ed ‘esclusivo’, dai contorni identitari più definiti tipici dello Stato nazionale; mentre la formula «diversità culturale» consentirebbe un accostamento con un diritto oggettivo potenzialmente più ‘aperto’ e più ‘inclusivo’ del nuovo che avanza (compreso il fenomeno immigratorio extra-comunitario), dai contorni identitari più sfumati, ma anche più consoni alla società multiculturale del tempo presente con cui la futura UE dovrà fatalmente misurarsi: lo scopo dell’intervento è quello di capire se l’ordinamento UE è davvero attrezzato in questo senso.
Morbidelli, G., Dei, L., Cappellini, P., Giunti, P., Simoni, A., Grossi, P., et al. (2017). Salvaguardia del pluralismo culturale e linguistico come parte dell'identità europea. Intervento presentato a: Cultura giuridica e letteratura nella costruzione dell'Europa, Firenze, Palazzo Incontri, Via dei Pucci 1.
Salvaguardia del pluralismo culturale e linguistico come parte dell'identità europea
DEGRASSI, LIDIANNA
2017
Abstract
Il tema interpella settori di studio diversi che si fondano su concetti diversi, con rilevanza giuridica diversa. In termini descrittivi, i due settori sono, rispettivamente, il «pluralismo culturale» ed il «pluralismo linguistico»; mentre l’«identità europea» appare come principio/obiettivo dell’UE. Infatti, dal titolo si ipotizza che la realizzazione tanto del primo settore, quanto del secondo contribuirebbe a costruire l’identità europea, da intendersi sia dell’istituzione, sia del popolo dotato di cittadinanza appunto europea. Sempre dal titolo emerge infine che l’attività pubblica di «salvaguardia» sembra essere lo strumento istituzionale chiamato a sostenere tanto il «pluralismo culturale», quanto il «pluralismo linguistico» in funzione identitaria europea, nel duplice significato ricordato. Partendo dal presupposto che l’identità europea è effettivamente la bussola verso la quale tanto il «pluralismo culturale», quanto il «pluralismo linguistico» debbono tendere, nel tentativo di poter sistematizzare l’eterogeneo scenario concettuale, da un punto di vista pubblicistico multilevel, occorre separare l’analisi dei due settori, anche perché, in realtà, l’attività pubblica ad essi riconnessa non sempre, o meglio non solo, si riassume nella salvaguardia. Nella letteratura scientifica è oramai consolidata l’idea secondo cui il «pluralismo culturale» si abbini all’attività pubblica di «promozione», in cui includere anche la «salvaguardia», mentre al «pluralismo linguistico» si ricolleghi piuttosto l’attività di «tutela», sia negativa, sia positiva. Tutto ciò perché, mentre il «pluralismo culturale» sembra ricondursi alla categoria delle libertà culturali collettive, il «pluralismo linguistico» (entro i confini dell’UE) pare maggiormente ascrivibile alla categoria dei diritti fondamentali dell’uomo, con le conseguenti diverse azioni accennate. Nella relazione si affronteranno tutti questi concetti avendo come punto di riferimento il diritto dell’UE (primario e derivato), il diritto internazionale regionale (UNESCO e Consiglio d’Europa in particolare) cui il primo è profondamente debitore, ed il diritto interno che ancora con il primo non può non confrontarsi proprio a partire dalla nozione di «pluralismo». Infatti, quest’ultima è da ritenere più una nozione statale che sovranazionale dove, almeno in relazione alla cultura, prevale sicuramente la formula «diversità culturale». Del resto, non a caso, il motto dell’UE è proprio «Unità nella diversità». L’opzione della nozione «pluralismo» lascerebbe intendere un collegamento con un diritto oggettivo ‘chiuso’ ed ‘esclusivo’, dai contorni identitari più definiti tipici dello Stato nazionale; mentre la formula «diversità culturale» consentirebbe un accostamento con un diritto oggettivo potenzialmente più ‘aperto’ e più ‘inclusivo’ del nuovo che avanza (compreso il fenomeno immigratorio extra-comunitario), dai contorni identitari più sfumati, ma anche più consoni alla società multiculturale del tempo presente con cui la futura UE dovrà fatalmente misurarsi: lo scopo dell’intervento è quello di capire se l’ordinamento UE è davvero attrezzato in questo senso.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.