Spesso l’immigrazione in Italia è considerata la soluzione a molteplici problemi di natura demografica che interessano, o interesseranno il nostro Paese. Tra di essi quello dell’invecchiamento della popolazione è certamente tra i più pressanti. Per valutare l’efficacia della risposta migratoria a questa questione, sono state svolte alcune simulazioni, a partire da dati Istat, individuando la dinamica demografica fino al 2020 sulla base di alcuni possibili scenari circa l’intensità annua dei flussi di ingresso. Alla luce di tali simulazioni risulta con tutta evidenza che l’immigrazione è senz’altro una risorsa, ma non risolve il problema. Ad esempio, anche considerando l’apporto netto costante di 450mila immigrati l’anno, è vero che si attenua la crescita dell’invecchiamento, ma la percentuale di anziani nel nostro paese aumenta comunque di circa 1,5 punti percentuali (passando dal 19,9% nel 2007 al 21,4% nel 2020). Inoltre, valutando gli effetti sul welfare, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil che con un apporto annuo di 150mila immigrati si accrescerebbe del 20% da qui al 2020 (per il solo effetto demografico e a parità di altre condizioni), con un apporto di 450mila non frenerebbe la corsa al rialzo, ma aumenterebbe comunque del 10%. Nel contempo, la stessa funzionalità economica della forza lavoro immigrata sembra rimessa in discussione dalle trasformazioni strutturali che vanno configurandosi. Infatti, se è vero che nei prossimi due decenni andrà progressivamente attenuandosi il peso relativo dei 25-44enni a favore di una parallela crescita dei 45-64enni (con uno spostamento di quasi 10 punti percentuali tra il 2007 e il 2020), sembra lecito ipotizzare che i vantaggi della maggiore adattabilità e apertura all’innovazione e dello stesso minor costo che tradizionalmente caratterizzavano la giovane forza lavoro immigrata dovranno fare i conti con la realtà di un’offerta generalmente “più matura” e forse anche meno conveniente. Un ultimo tema che può contribuire alla valutazione circa i pro e i contro di un futuro con flussi migratori di una certa consistenza è quello relativo al ricambio generazionale e al sostegno che l’immigrazione da tempo svolge sul fronte della natalità. A tale proposito se è incontestabile la forte crescita del peso relativo della componente straniera sul totale dei nati e l’attribuzione ad essa di gran parte del merito della tanto enfatizzata (quanto nei numeri relativamente modesta) ripresa della natalità osservata in Italia nel corso dell’ultimo decennio, non si può immaginare che tale supporto possa accrescersi senza limiti. Le previsioni Istat basate sui 150mila ingressi netti annui accreditano la possibilità che i 550-560mila nati di questo inizio secolo possano rapidamente scendere a poco più di 450mila nel prossimo decennio, ma non sarebbero sufficienti ad arginare tale caduta né 100mila, né 200mila ingressi annui in più. Nel primo caso si avrebbero nel 2020 solo 495mila nascite (il 12% in meno rispetto al 2006), mentre nel secondo si arriverebbe a 534mila (5% in meno). In ultima analisi, le simulazioni svolte in questa sede mostrano come l’unica alternativa per mantenere sostanzialmente stabile il livello della natalità in Italia, ove si volesse affidare la soluzione del problema unicamente al contributo della componente straniera, sarebbe quella di puntare su un apporto medio annuo netto nell’ordine delle 450mila unità. Salvo poi interrogarsi doverosamente sulla problematicità del governo di un tale flusso, ma forse anche sulla ragionevolezza dell’aver delegato “all’esterno” la soluzione di un problema che riguarda l’esistenza stessa della popolazione italiana.
Blangiardo, G. (2008). Aspetti quantitativi e riflessioni su prospettive e convenienza dell'immigrazione straniera in Italia. In Tredicesimo Rapporto sull'Immigrazione 2007 (pp. 41-59). MILANO -- ITA : Franco Angeli.
Aspetti quantitativi e riflessioni su prospettive e convenienza dell'immigrazione straniera in Italia
BLANGIARDO, GIAN CARLO
2008
Abstract
Spesso l’immigrazione in Italia è considerata la soluzione a molteplici problemi di natura demografica che interessano, o interesseranno il nostro Paese. Tra di essi quello dell’invecchiamento della popolazione è certamente tra i più pressanti. Per valutare l’efficacia della risposta migratoria a questa questione, sono state svolte alcune simulazioni, a partire da dati Istat, individuando la dinamica demografica fino al 2020 sulla base di alcuni possibili scenari circa l’intensità annua dei flussi di ingresso. Alla luce di tali simulazioni risulta con tutta evidenza che l’immigrazione è senz’altro una risorsa, ma non risolve il problema. Ad esempio, anche considerando l’apporto netto costante di 450mila immigrati l’anno, è vero che si attenua la crescita dell’invecchiamento, ma la percentuale di anziani nel nostro paese aumenta comunque di circa 1,5 punti percentuali (passando dal 19,9% nel 2007 al 21,4% nel 2020). Inoltre, valutando gli effetti sul welfare, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil che con un apporto annuo di 150mila immigrati si accrescerebbe del 20% da qui al 2020 (per il solo effetto demografico e a parità di altre condizioni), con un apporto di 450mila non frenerebbe la corsa al rialzo, ma aumenterebbe comunque del 10%. Nel contempo, la stessa funzionalità economica della forza lavoro immigrata sembra rimessa in discussione dalle trasformazioni strutturali che vanno configurandosi. Infatti, se è vero che nei prossimi due decenni andrà progressivamente attenuandosi il peso relativo dei 25-44enni a favore di una parallela crescita dei 45-64enni (con uno spostamento di quasi 10 punti percentuali tra il 2007 e il 2020), sembra lecito ipotizzare che i vantaggi della maggiore adattabilità e apertura all’innovazione e dello stesso minor costo che tradizionalmente caratterizzavano la giovane forza lavoro immigrata dovranno fare i conti con la realtà di un’offerta generalmente “più matura” e forse anche meno conveniente. Un ultimo tema che può contribuire alla valutazione circa i pro e i contro di un futuro con flussi migratori di una certa consistenza è quello relativo al ricambio generazionale e al sostegno che l’immigrazione da tempo svolge sul fronte della natalità. A tale proposito se è incontestabile la forte crescita del peso relativo della componente straniera sul totale dei nati e l’attribuzione ad essa di gran parte del merito della tanto enfatizzata (quanto nei numeri relativamente modesta) ripresa della natalità osservata in Italia nel corso dell’ultimo decennio, non si può immaginare che tale supporto possa accrescersi senza limiti. Le previsioni Istat basate sui 150mila ingressi netti annui accreditano la possibilità che i 550-560mila nati di questo inizio secolo possano rapidamente scendere a poco più di 450mila nel prossimo decennio, ma non sarebbero sufficienti ad arginare tale caduta né 100mila, né 200mila ingressi annui in più. Nel primo caso si avrebbero nel 2020 solo 495mila nascite (il 12% in meno rispetto al 2006), mentre nel secondo si arriverebbe a 534mila (5% in meno). In ultima analisi, le simulazioni svolte in questa sede mostrano come l’unica alternativa per mantenere sostanzialmente stabile il livello della natalità in Italia, ove si volesse affidare la soluzione del problema unicamente al contributo della componente straniera, sarebbe quella di puntare su un apporto medio annuo netto nell’ordine delle 450mila unità. Salvo poi interrogarsi doverosamente sulla problematicità del governo di un tale flusso, ma forse anche sulla ragionevolezza dell’aver delegato “all’esterno” la soluzione di un problema che riguarda l’esistenza stessa della popolazione italiana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.