Riceve oggi sempre più attenzione il problema della ‘laicità dello Stato, tema al quale negli ultimi anni sono stati dedicati numerosi saggi e che è divenuto oggetto di accesi dibattiti e confronti. Il saggio si propone di ricercare le radici di questo percorso di laicità, individuando nel codice penale Zanardelli del 1889, primo codice penale dell’Italia unita, espressione del clima ‘liberale’ di quegli anni, le prime tracce di un separatismo politico e giuridico. Dopo l’esperienza medievale, il confronto tra Stato e Chiesa si spostò sulla possibilità di operare una separazione tra il concetto di moralità e quello di reità: in altre parole, i reati contro la religione, da sempre considerati al vertice di un’ipotetica gerarchia e parificati ai crimini di lesa maestà venivano messi in discussione sia in quanto alla loro possibilità di riconoscimento da parte dello Stato sia in ragione dei loro specifici contenuti. L’idea che fosse dovere dello Stato difendere la religione (in particolare quella cattolica, considerata religione di Stato in una visione confessionale di quest’ultimo) si mantenne fino a tutto l’Ottocento, come dimostra la legislazione degli Stati pre unitari, dove gravi pene erano stabilite contro coloro che, in vario modo, offendevano la religione cattolica. Lo Statuto del 1848 e le successive disposizioni normative a favore del riconoscimento di diritti civili e politici anche ad appartenenti a confessioni religiose diverse dalla cattolica prepararono la strada a quella laicità che il legislatore unitario andava promuovendo. Con il codice Zanardelli per la prima volta l’ordinamento penale affermò la propria incompetenza in materia religiosa e la paritaria protezione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale. La nuova classificazione (non più delitti contro la religione, ma delitti contro la libertà dei culti) e la ricomprensione di queste figure delittuose nel titolo dedicato alla difesa della libertà denotano il nuovo clima culturale. Il saggio si sofferma in modo particolare sull’analisi degli artt. 140 e 141 c.p. che punivano l’offesa ad uno dei culti ammessi nello Stato e il vilipendio. Attraverso l’esame della dottrina del tempo ma soprattutto della giurisprudenza si è ricostruito tanto l’apporto dei giuristi nell’edificazione di queste nuove figure, quanto le modalità applicative delle stesse, nel tentativo di conciliare da un lato la tutela del diritto inviolabile di ognuno di professare la propria religione e dall’altra di garantire la più ampia libertà di discussione (evitando che due diritti altrettanto meritevoli di tutela come la libertà di manifestare il proprio pensiero e quello di professare liberamente un culto potessero entrare in conflitto insanabile tra loro ). Sebbene non si arrivò ad una effettiva tutela della libertà di coscienza (dal momento che atei e agnostici non venivano considerati nell’espressione della loro non appartenenza religiosa) è indubbio che il codice Zanardelli ruppe con la tradizione passata, aprendo la strada a nuove e significative espressioni culturali.

Garlati, L. (2007). Dalla tutela della religione di Stato alla difesa della libertà dei culti: la svolta liberale del Codice Zanardelli. In A. Ceretti, L. Garlati (a cura di), Laicità e Stato di diritto (pp. 73-87). Milano : Giuffrè.

Dalla tutela della religione di Stato alla difesa della libertà dei culti: la svolta liberale del Codice Zanardelli

GARLATI, LOREDANA
2007

Abstract

Riceve oggi sempre più attenzione il problema della ‘laicità dello Stato, tema al quale negli ultimi anni sono stati dedicati numerosi saggi e che è divenuto oggetto di accesi dibattiti e confronti. Il saggio si propone di ricercare le radici di questo percorso di laicità, individuando nel codice penale Zanardelli del 1889, primo codice penale dell’Italia unita, espressione del clima ‘liberale’ di quegli anni, le prime tracce di un separatismo politico e giuridico. Dopo l’esperienza medievale, il confronto tra Stato e Chiesa si spostò sulla possibilità di operare una separazione tra il concetto di moralità e quello di reità: in altre parole, i reati contro la religione, da sempre considerati al vertice di un’ipotetica gerarchia e parificati ai crimini di lesa maestà venivano messi in discussione sia in quanto alla loro possibilità di riconoscimento da parte dello Stato sia in ragione dei loro specifici contenuti. L’idea che fosse dovere dello Stato difendere la religione (in particolare quella cattolica, considerata religione di Stato in una visione confessionale di quest’ultimo) si mantenne fino a tutto l’Ottocento, come dimostra la legislazione degli Stati pre unitari, dove gravi pene erano stabilite contro coloro che, in vario modo, offendevano la religione cattolica. Lo Statuto del 1848 e le successive disposizioni normative a favore del riconoscimento di diritti civili e politici anche ad appartenenti a confessioni religiose diverse dalla cattolica prepararono la strada a quella laicità che il legislatore unitario andava promuovendo. Con il codice Zanardelli per la prima volta l’ordinamento penale affermò la propria incompetenza in materia religiosa e la paritaria protezione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale. La nuova classificazione (non più delitti contro la religione, ma delitti contro la libertà dei culti) e la ricomprensione di queste figure delittuose nel titolo dedicato alla difesa della libertà denotano il nuovo clima culturale. Il saggio si sofferma in modo particolare sull’analisi degli artt. 140 e 141 c.p. che punivano l’offesa ad uno dei culti ammessi nello Stato e il vilipendio. Attraverso l’esame della dottrina del tempo ma soprattutto della giurisprudenza si è ricostruito tanto l’apporto dei giuristi nell’edificazione di queste nuove figure, quanto le modalità applicative delle stesse, nel tentativo di conciliare da un lato la tutela del diritto inviolabile di ognuno di professare la propria religione e dall’altra di garantire la più ampia libertà di discussione (evitando che due diritti altrettanto meritevoli di tutela come la libertà di manifestare il proprio pensiero e quello di professare liberamente un culto potessero entrare in conflitto insanabile tra loro ). Sebbene non si arrivò ad una effettiva tutela della libertà di coscienza (dal momento che atei e agnostici non venivano considerati nell’espressione della loro non appartenenza religiosa) è indubbio che il codice Zanardelli ruppe con la tradizione passata, aprendo la strada a nuove e significative espressioni culturali.
Capitolo o saggio
Codice penale (1889); reati contro la religione; reati contro la libertà dei culti; laicità
Italian
Laicità e Stato di diritto
Ceretti, Adolfo; Garlati, Loredana
2007
8814134804
Giuffrè
73
87
Garlati, L. (2007). Dalla tutela della religione di Stato alla difesa della libertà dei culti: la svolta liberale del Codice Zanardelli. In A. Ceretti, L. Garlati (a cura di), Laicità e Stato di diritto (pp. 73-87). Milano : Giuffrè.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/1100
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