Abstract (italiano) Questo lavoro è il risultato di un progetto, il cui obiettivo consiste nel recuperare alcune tappe sconosciute oppure poco indagate della giustizia penale italiana dall’Unità al Fascismo, ricostruendo la varietà e la densità di pensiero del laboratorio giuridico italiano. Il codice di procedura penale italiano del 1865, seguendo il modello francese, riservava l’azione penale allo Stato: solo il pubblico ministero poteva avviare un’azione penale e analogo diritto, con poche eccezioni, non era attribuito alle parti offese o ai privati cittadini. Il codice, inoltre, non includeva alcuna forma di controllo sulla decisione del procuratore di non procedere e vi era il rischio di possibili abusi, poiché il procuratore non era libero da influenza politica. Il dibattito sull’azione penale privata, che si è sviluppato nella scienza penalistica, ha assunto immediatamente una dimensione costituzionale. Il saggio si propone di analizzare nuove fonti e di fornire nuove interpretazioni di questo problema. La ricerca mostra che, agli occhi dei giuristi liberali, l’azione criminale privata e/o popolare rappresentava un diritto costituzionale alla libertà civile, in un Paese che di recente si era assicurato alcuni diritti di libertà politica. Nel dibattito della fine del XIX secolo, la maggior parte dei penalisti sperò di superare il monopolio dell'azione del pubblico ministero. I due principali archetipi sono stati delineati fin dagli anni ‘70, negli scritti di Luigi Lucchini, estimatore del sistema giudiziario inglese e dell’azione popolare, e di Francesco Carrara, fortemente critico nei confronti del pubblico ministero e sostenitore dei diritti individuali delle parti lese, ma non di un’azione popolare per tutti i cittadini. Nello stesso periodo, un terzo orientamento sostenne la concessione di entrambe le azioni. La questione fu discussa anche dalla scuola positiva, senza tuttavia raggiungere una posizione unificata. Esisteva anche una minoranza propensa a rafforzare il ruolo del pubblico ministero, con limitato potere di controllo da parte dei singoli. Questa linea avrà una forte influenza nella gestazione del codice di procedura penale del 1913. Essa si fondava su una retorica, in parte condivisa da alcuni fautori dell’azione penale privata: offesi e cittadini, a differenza del pubblico ministero, venivano delineati come maliziosi, vessatori e ingiusti, attori di un “teatro delle passioni” pericoloso per i cittadini innocenti. Abstract (English) This paper is the result of a project, whose objective is to make the history of some unknown or little investigated stages of Italian criminal justice from the Unification to Fascism, reconstructing the variety and density of thought of the Italian legal laboratory. The Italian code of criminal procedure of 1865, following the French model, reserved the criminal prosecution to the State: only the public prosecutor could institute a criminal action and a similar right, with few exceptions, was not attached to injured parties or private citizens. The code, moreover, did not include any form of control over the prosecutor’s decision not to proceed and there was a risk of possible abuses, because the prosecutor was not free from political influence. The debate on private criminal prosecution, which developed in the criminal law scholarship, immediately took on a constitutional dimension. The essay aims to analyze new sources and to provide new interpretations of this problem. The research shows that in the eyes of the liberal jurists, private and/or popular criminal action represented a constitutional right of civil liberty, in a country that had recently secured some rights of political freedom. In the debate of the late 19th century, the majority of criminal lawyers came to hope for overcoming the monopoly of the action held by the public prosecutor. The two main archetypes were outlined since the 70’s, in the writings of Luigi Lucchini, an admirer of the English adversarial system and of the popular action, and Francesco Carrara, highly critical of the public prosecutor and supporter of the individual rights of injured parties, but not of a popular action for all citizens. In the same period, a third opinion supported the granting of both actions. The issue was also discussed by the positive school of criminal law, without achieving a unified position. There was also a minority inclined to strengthening the role of the public prosecutor, with limited power of control by individuals. This line will have a strong influence in the gestation of the code of criminal procedure of 1913. It was founded on a rhetoric, partly shared by some proponents of private prosecution: injured people and citizens, unlike the public prosecutor, were outlined as malicious, vexatious and unfair, players of a “theatre of passions” dangerous for innocent citizens.
Chiodi, G. (2015). Il teatro delle passioni. L’azione privata e popolare nella penalistica italiana di fine Ottocento. QUADERNI FIORENTINI PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO, 44, 323-379.
Il teatro delle passioni. L’azione privata e popolare nella penalistica italiana di fine Ottocento
Chiodi, G
2015
Abstract
Abstract (italiano) Questo lavoro è il risultato di un progetto, il cui obiettivo consiste nel recuperare alcune tappe sconosciute oppure poco indagate della giustizia penale italiana dall’Unità al Fascismo, ricostruendo la varietà e la densità di pensiero del laboratorio giuridico italiano. Il codice di procedura penale italiano del 1865, seguendo il modello francese, riservava l’azione penale allo Stato: solo il pubblico ministero poteva avviare un’azione penale e analogo diritto, con poche eccezioni, non era attribuito alle parti offese o ai privati cittadini. Il codice, inoltre, non includeva alcuna forma di controllo sulla decisione del procuratore di non procedere e vi era il rischio di possibili abusi, poiché il procuratore non era libero da influenza politica. Il dibattito sull’azione penale privata, che si è sviluppato nella scienza penalistica, ha assunto immediatamente una dimensione costituzionale. Il saggio si propone di analizzare nuove fonti e di fornire nuove interpretazioni di questo problema. La ricerca mostra che, agli occhi dei giuristi liberali, l’azione criminale privata e/o popolare rappresentava un diritto costituzionale alla libertà civile, in un Paese che di recente si era assicurato alcuni diritti di libertà politica. Nel dibattito della fine del XIX secolo, la maggior parte dei penalisti sperò di superare il monopolio dell'azione del pubblico ministero. I due principali archetipi sono stati delineati fin dagli anni ‘70, negli scritti di Luigi Lucchini, estimatore del sistema giudiziario inglese e dell’azione popolare, e di Francesco Carrara, fortemente critico nei confronti del pubblico ministero e sostenitore dei diritti individuali delle parti lese, ma non di un’azione popolare per tutti i cittadini. Nello stesso periodo, un terzo orientamento sostenne la concessione di entrambe le azioni. La questione fu discussa anche dalla scuola positiva, senza tuttavia raggiungere una posizione unificata. Esisteva anche una minoranza propensa a rafforzare il ruolo del pubblico ministero, con limitato potere di controllo da parte dei singoli. Questa linea avrà una forte influenza nella gestazione del codice di procedura penale del 1913. Essa si fondava su una retorica, in parte condivisa da alcuni fautori dell’azione penale privata: offesi e cittadini, a differenza del pubblico ministero, venivano delineati come maliziosi, vessatori e ingiusti, attori di un “teatro delle passioni” pericoloso per i cittadini innocenti. Abstract (English) This paper is the result of a project, whose objective is to make the history of some unknown or little investigated stages of Italian criminal justice from the Unification to Fascism, reconstructing the variety and density of thought of the Italian legal laboratory. The Italian code of criminal procedure of 1865, following the French model, reserved the criminal prosecution to the State: only the public prosecutor could institute a criminal action and a similar right, with few exceptions, was not attached to injured parties or private citizens. The code, moreover, did not include any form of control over the prosecutor’s decision not to proceed and there was a risk of possible abuses, because the prosecutor was not free from political influence. The debate on private criminal prosecution, which developed in the criminal law scholarship, immediately took on a constitutional dimension. The essay aims to analyze new sources and to provide new interpretations of this problem. The research shows that in the eyes of the liberal jurists, private and/or popular criminal action represented a constitutional right of civil liberty, in a country that had recently secured some rights of political freedom. In the debate of the late 19th century, the majority of criminal lawyers came to hope for overcoming the monopoly of the action held by the public prosecutor. The two main archetypes were outlined since the 70’s, in the writings of Luigi Lucchini, an admirer of the English adversarial system and of the popular action, and Francesco Carrara, highly critical of the public prosecutor and supporter of the individual rights of injured parties, but not of a popular action for all citizens. In the same period, a third opinion supported the granting of both actions. The issue was also discussed by the positive school of criminal law, without achieving a unified position. There was also a minority inclined to strengthening the role of the public prosecutor, with limited power of control by individuals. This line will have a strong influence in the gestation of the code of criminal procedure of 1913. It was founded on a rhetoric, partly shared by some proponents of private prosecution: injured people and citizens, unlike the public prosecutor, were outlined as malicious, vexatious and unfair, players of a “theatre of passions” dangerous for innocent citizens.File | Dimensione | Formato | |
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