L’ablazione dei beni appartenenti all’autore di un reato rappresenta, sin dagli albori della civiltà giuridica, una delle più diffuse risposte penitenziali previste dal diritto penale. Nonostante l’evoluzione millenaria dell’istituto, solo in epoca moderna i legislatori nazionali hanno introdotto la confisca del profitto derivante dal fatto criminoso. L’istituto oggetto di analisi presenta, sul piano interpretativo, numerosi profili di criticità, sui quali si è concentrata la ricerca. In una prima parte, marcatamente ricostruttiva, si ripercorre l’evoluzione storica dell’istituto, muovendo dal diritto romano per giungere a delineare, attraverso il diritto comune, la fisionomia che la misura ha assunto in epoca moderna, nella codificazione preunitaria e nel codice Zanardelli; segue, poi, l’analisi delle varie ipotesi di confisca del profitto oggi vigenti. Nella seconda parte del lavoro si affronta, in modo maggiormente approfondito, il tema della determinazione del quantum di profitto confiscabile, analizzando le posizioni assunte, negli anni, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità sino a giungere alla sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2008, che tanta attenzione ha suscitato in dottrina e che ha finalmente reso attuale un tema per lungo tempo dimenticato. Fornite alcune essenziali coordinate comparatistiche, il lavoro si concentra sull’alternativa netto/lordo, ossia sulla discussa possibilità di dedurre dal profitto confiscabile le spese riconducibili al fatto criminoso; si perviene, infine, alla conclusione che l’opzione per il principio del netto sia nella sostanza necessitata dall’applicazione dei rigidi canoni ermeneutici imposti dal principio di legalità e si auspica l’intervento del legislatore per una definitiva sistemazione della materia.
(2010). La confisca del profitto. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2010).
La confisca del profitto
DAVIDE, SALVATORE
2010
Abstract
L’ablazione dei beni appartenenti all’autore di un reato rappresenta, sin dagli albori della civiltà giuridica, una delle più diffuse risposte penitenziali previste dal diritto penale. Nonostante l’evoluzione millenaria dell’istituto, solo in epoca moderna i legislatori nazionali hanno introdotto la confisca del profitto derivante dal fatto criminoso. L’istituto oggetto di analisi presenta, sul piano interpretativo, numerosi profili di criticità, sui quali si è concentrata la ricerca. In una prima parte, marcatamente ricostruttiva, si ripercorre l’evoluzione storica dell’istituto, muovendo dal diritto romano per giungere a delineare, attraverso il diritto comune, la fisionomia che la misura ha assunto in epoca moderna, nella codificazione preunitaria e nel codice Zanardelli; segue, poi, l’analisi delle varie ipotesi di confisca del profitto oggi vigenti. Nella seconda parte del lavoro si affronta, in modo maggiormente approfondito, il tema della determinazione del quantum di profitto confiscabile, analizzando le posizioni assunte, negli anni, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità sino a giungere alla sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2008, che tanta attenzione ha suscitato in dottrina e che ha finalmente reso attuale un tema per lungo tempo dimenticato. Fornite alcune essenziali coordinate comparatistiche, il lavoro si concentra sull’alternativa netto/lordo, ossia sulla discussa possibilità di dedurre dal profitto confiscabile le spese riconducibili al fatto criminoso; si perviene, infine, alla conclusione che l’opzione per il principio del netto sia nella sostanza necessitata dall’applicazione dei rigidi canoni ermeneutici imposti dal principio di legalità e si auspica l’intervento del legislatore per una definitiva sistemazione della materia.File | Dimensione | Formato | |
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