L’analisi della normativa sugli accordi di ristrutturazione dei debiti effettuata nel corso della presente indagine ha consentito, non solo di ricostruire la disciplina che regola tale istituto, ma anche di rilevare alcuni aspetti fondamentali dell’intera riforma del diritto fallimentare. In particolare è stato possibile, anche sulla scorta dell’analisi storica sulla evoluzione degli interessi giudicati meritevoli di protezione dai vari ordinamenti che si sono succeduti nel tempo, dare contezza del termine, invalso nella dottrina specialistica, “privatizzazione” dell’insolvenza commerciale, che non deve essere inteso come integrale attribuzione ai privati della gestione della crisi d’impresa e contemporanea esclusione dell’intervento dell’autorità giudiziaria (c.d. degiurisdizionalizzazione). La crisi d’impresa riguarda una pluralità di interessi, sia di natura privatistica che di tipo pubblicistico, diversi ed ulteriori rispetto a quelli del debitore e dei creditori che partecipano alla conclusione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Si è dunque sottolineato come proprio le esigenze di protezione di questi diversi interessi impongano l’intervento dell’autorità giudiziaria. Ovviamente il ruolo del giudice disegnato dall’impianto scaturente dalla riforma del diritto fallimentare è molto lontano e diverso da quello del giudice delegato previsto nelle procedure concorsuali dalla legge del 1942, in cui era protagonista attivo ed indiscusso. Negli accordi di ristrutturazione dei debiti, invece, la decisione sulla scelta degli strumenti ritenuti più idonei a comporre la crisi d’impresa è completamente demandata alla libera determinazione delle parti nella loro piena autonomia contrattuale. Ma dato che la loro contrattazione potrebbe avere degli effetti, ancorché solamente indiretti, sulla sfera giuridica di soggetti terzi estranei, si rende opportuno e necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria che, in sede di omologa dovrà effettuare un giudizio di merito circa l’attitudine dell’accordo a svolgere la sua funzione di soluzione della crisi imprenditoriale e la sua idoneità a garantire l’integrale pagamento dei creditori estranei. Questi ultimi, infatti, rimangono terzi rispetto al negozio di ristrutturazione e, secondo i principi generali, qui certamente applicabili, non possono risentire in via diretta degli effetti dell’accordo. Visto che la legge prevede che gli atti posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti siano esenti da revocatoria qualora l’accordo si riveli inidoneo a risolvere la crisi e dunque si giunga ad un successivo fallimento dell’imprenditore insolvente, l’autorità giudiziaria omologante dovrà valutare attentamente, secondo un giudizio prognostico, la serietà del piano e l’attitudine dell’accordo a svolgere correttamente al sua funzione. In questa prospettiva, dunque, appare errato parlare di un degiurisdizionalizzazione della crisi d’impresa, dovendosi al massimo, spinti da una irrefrenabile esigenza classificatoria, ricorrere al concetto di disintermediazione giudiziaria.
(2011). Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra autonomia privata e controllo nell'interesse dei terzi. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2011).
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra autonomia privata e controllo nell'interesse dei terzi
RESTUCCIA, DARIO
2011
Abstract
L’analisi della normativa sugli accordi di ristrutturazione dei debiti effettuata nel corso della presente indagine ha consentito, non solo di ricostruire la disciplina che regola tale istituto, ma anche di rilevare alcuni aspetti fondamentali dell’intera riforma del diritto fallimentare. In particolare è stato possibile, anche sulla scorta dell’analisi storica sulla evoluzione degli interessi giudicati meritevoli di protezione dai vari ordinamenti che si sono succeduti nel tempo, dare contezza del termine, invalso nella dottrina specialistica, “privatizzazione” dell’insolvenza commerciale, che non deve essere inteso come integrale attribuzione ai privati della gestione della crisi d’impresa e contemporanea esclusione dell’intervento dell’autorità giudiziaria (c.d. degiurisdizionalizzazione). La crisi d’impresa riguarda una pluralità di interessi, sia di natura privatistica che di tipo pubblicistico, diversi ed ulteriori rispetto a quelli del debitore e dei creditori che partecipano alla conclusione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Si è dunque sottolineato come proprio le esigenze di protezione di questi diversi interessi impongano l’intervento dell’autorità giudiziaria. Ovviamente il ruolo del giudice disegnato dall’impianto scaturente dalla riforma del diritto fallimentare è molto lontano e diverso da quello del giudice delegato previsto nelle procedure concorsuali dalla legge del 1942, in cui era protagonista attivo ed indiscusso. Negli accordi di ristrutturazione dei debiti, invece, la decisione sulla scelta degli strumenti ritenuti più idonei a comporre la crisi d’impresa è completamente demandata alla libera determinazione delle parti nella loro piena autonomia contrattuale. Ma dato che la loro contrattazione potrebbe avere degli effetti, ancorché solamente indiretti, sulla sfera giuridica di soggetti terzi estranei, si rende opportuno e necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria che, in sede di omologa dovrà effettuare un giudizio di merito circa l’attitudine dell’accordo a svolgere la sua funzione di soluzione della crisi imprenditoriale e la sua idoneità a garantire l’integrale pagamento dei creditori estranei. Questi ultimi, infatti, rimangono terzi rispetto al negozio di ristrutturazione e, secondo i principi generali, qui certamente applicabili, non possono risentire in via diretta degli effetti dell’accordo. Visto che la legge prevede che gli atti posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti siano esenti da revocatoria qualora l’accordo si riveli inidoneo a risolvere la crisi e dunque si giunga ad un successivo fallimento dell’imprenditore insolvente, l’autorità giudiziaria omologante dovrà valutare attentamente, secondo un giudizio prognostico, la serietà del piano e l’attitudine dell’accordo a svolgere correttamente al sua funzione. In questa prospettiva, dunque, appare errato parlare di un degiurisdizionalizzazione della crisi d’impresa, dovendosi al massimo, spinti da una irrefrenabile esigenza classificatoria, ricorrere al concetto di disintermediazione giudiziaria.File | Dimensione | Formato | |
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