Per la sua natura metodologica l’etnografia è capace di “guardare sotto ai linguaggi dominanti” (Hodgson 2001): l’insieme delle relazioni etnografiche costruite con le persone, e il materiale esistenziale a cui si ha accesso attraverso queste relazioni, permettono di scoprire narrazioni, esperienze, pratiche agite dai soggetti della ricerca per sfidare le reti di potere in cui sono coinvolti. Queste chiavi di lettura sono dei “prismi attraverso cui accedere e analizzare le voci, le esperienze, l’agency spesso mute delle donne” (Hodgson 2001:17). In questa tesi analizzo le narrative, le reti di relazioni e le pratiche che compongono la vita quotidiana di un insieme di donne immigrate incontrate a Bologna nella ricerca, al fine di illustrare la complessità delle strategie di ricollocamento a cui queste donne hanno dato vita. Il mio tentativo è fare luce sulla complessità e sulla processualità delle migrazioni femminili attraverso un’etnografia che si compone di storie ordinarie e mondi quotidiani. Questi percorsi catturano la migrazione transnazionale come “esperienza vissuta” e permettono di intendere le tattiche quotidiane e le narrazioni delle donne sui propri posizionamenti come pratiche di resistenza. Desidero, pertanto, rendere visibile il ruolo attivo delle donne nella costruzione di pratiche culturali di ricollocamento, parlando delle risorse e dei capitali che queste donne migranti usano per alterare le loro posizioni, per interrompere gli apparati discorsivi che le costruiscono come straniere e come categorie socialmente escluse, e per cambiare, laddove è possibile, le condizioni materiali delle loro vite. Il punto di partenza è il riconoscimento di queste espressioni di subalternità attraverso le pratiche agite e i significati ad esse attribuiti; attraverso le narrazioni in cui problematizzano la posizione di marginalità e le molteplici appartenenze che le definiscono, cerco di far emergere lo sguardo sul potere che queste donne producono e i movimenti che ricavano dentro la ramificazione delle egemonie. Ho condotto la ricerca a Bologna nel corso del 2003 e del 2004 con due gruppi di donne immigrate, AMISS e Agorà dei Mondi. Non sono aggregazioni etniche, né associazioni di comunità ma reti collettive composte da soggetti di diverse provenienze geografiche e con differenti storie di vita. AMISS ha preso vita nel 2000 e si compone di tredici donne immigrate, ma il percorso di ricerca ne ha coinvolte solo sei: Aferdita, Denise, Ego, Fatima, Sanae, Vichi; Agorà dei Mondi è nata su iniziativa di tre donne, Blagovesta, Sanja, Rebeca, tutte attive nel gruppo e partecipi nella mia ricerca, più una, Tamara, amica delle tre ma esterna all’associazione. Le componenti di entrambi i gruppi si auto/appellano come appartenenti ad associazioni miste e femminili in cui prendono vita il combinarsi di molteplici appartenenze e diverse storie di migrazione, dove ognuna legge sé, e lo spazio relazionale di cui è parte, in termini multiposizionati. Nonostante i tratti comuni, i due gruppi femminili hanno genealogie differenti e nel tempo hanno dato vita a reti di relazioni interne dissimili, maturando diversi rapporti con il contesto locale; nonostante, inoltre, siano entrambi due reti di donne immigrate, producono differenti contro/narrazioni sulle retoriche multiculturali locali. Pur rappresentando una posizione condivisa, il posizionamento di “donna immigrata” non è infatti sufficiente a far nascere realtà omogenee. AMISS e Agorà dei Mondi costruiscono diversi meccanismi di complicità e solidarietà femminile e ognuna, con modalità specifiche, interviene per rimuovere la posizione di debolezza delle donne immigrate a Bologna. Le differenze non si registrano solo fra i due gruppi. All’interno degli stessi, ogni componente produce narrazioni e sguardi sul potere, sul posizionamento di immigrata nella città di accoglienza, dando vita a diverse forme di resistenza. In questo percorso, cerco di combinare insieme almeno due livelli di analisi: le traiettorie delle donne, costruite catturandone la vita quotidiana e rintracciando in esse le autorappresentazioni, le percezioni che i soggetti femminili hanno di se stesse e delle loro vite, nella convinzione che la testimonianza di sé esprima un enorme potenziale politico di trasformazione (Puwar 2003); la creazione di forme femminili di coalizione (Behar 1995:6) a cui le donne danno vita manipolando l’identità di migrante senza renderla una posizione esclusiva. A questo livello, prenderò in esame le dinamiche interne ai due gruppi indagandone le rispettive genealogie, la fantasia di ogni componente rispetto alla propria realtà, le reti di relazioni e “le storie di ordinaria amicizia” nate all’interno delle associazioni. Cercherò, inoltre, di illustrare le modalità con cui le due reti femminili - costruitesi come soggettività collettive - si sono rese visibili nella città, costruendo complicità e reti di solidarietà fra donne immigrate al fine di rimuovere la comune posizione di debolezza da esse occupata. In questo senso, AMISS ed Agorà dei Mondi esprimono una fantasia di emancipazione dalla marginalità e in modi differenti agiscono per intervenire su essa. L’etnografia esplora lo scarto fra rappresentazione/autopercezione ed esprime il tentativo di decostruire il discorso egemonico sulle donne straniere contrapponendo ad esso le narrazioni, l’immagine, la percezione che le attrici hanno di sé e dei loro posizionamenti. Denunciando l’immagine stereotipata e omogenea che il mondo esterno loro riflette, è possibile comprendere come si articolano le loro posizioni: come immigrate occupano posizioni di subalternità, dove socialmente, politicamente, culturalmente sono dominate e costruite come tali (Ong 1995:356); nelle testimonianze di sé e nelle storie del loro vivere quotidiano si mostrano tuttavia consapevoli delle proprie posizioni di marginalità e di debolezza. La consapevolezza, da parte sua, della precarietà sociale, culturale, politica spinge le persone e i gruppi ad impegnarsi per resistervi (Vertovec, Cohen 1999:xix): attraverso microprocessi quotidiani di resistenza (Abu-Lughod 1993) e “il collegarsi insieme delle donne per ridurre la comune posizione di debolezza” (Ferrante 1988) emergono le asimmetrie di potere e, insieme, il desiderio di contribuire ad una rappresentazione antiegemonica della differenza (Ong 1995:351).

(2006). Marginali e resistenti. Donne migranti a Bologna, reti di relazioni e pratiche di vita quotidiana. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2006).

Marginali e resistenti. Donne migranti a Bologna, reti di relazioni e pratiche di vita quotidiana

PINELLI, BARBARA
2006

Abstract

Per la sua natura metodologica l’etnografia è capace di “guardare sotto ai linguaggi dominanti” (Hodgson 2001): l’insieme delle relazioni etnografiche costruite con le persone, e il materiale esistenziale a cui si ha accesso attraverso queste relazioni, permettono di scoprire narrazioni, esperienze, pratiche agite dai soggetti della ricerca per sfidare le reti di potere in cui sono coinvolti. Queste chiavi di lettura sono dei “prismi attraverso cui accedere e analizzare le voci, le esperienze, l’agency spesso mute delle donne” (Hodgson 2001:17). In questa tesi analizzo le narrative, le reti di relazioni e le pratiche che compongono la vita quotidiana di un insieme di donne immigrate incontrate a Bologna nella ricerca, al fine di illustrare la complessità delle strategie di ricollocamento a cui queste donne hanno dato vita. Il mio tentativo è fare luce sulla complessità e sulla processualità delle migrazioni femminili attraverso un’etnografia che si compone di storie ordinarie e mondi quotidiani. Questi percorsi catturano la migrazione transnazionale come “esperienza vissuta” e permettono di intendere le tattiche quotidiane e le narrazioni delle donne sui propri posizionamenti come pratiche di resistenza. Desidero, pertanto, rendere visibile il ruolo attivo delle donne nella costruzione di pratiche culturali di ricollocamento, parlando delle risorse e dei capitali che queste donne migranti usano per alterare le loro posizioni, per interrompere gli apparati discorsivi che le costruiscono come straniere e come categorie socialmente escluse, e per cambiare, laddove è possibile, le condizioni materiali delle loro vite. Il punto di partenza è il riconoscimento di queste espressioni di subalternità attraverso le pratiche agite e i significati ad esse attribuiti; attraverso le narrazioni in cui problematizzano la posizione di marginalità e le molteplici appartenenze che le definiscono, cerco di far emergere lo sguardo sul potere che queste donne producono e i movimenti che ricavano dentro la ramificazione delle egemonie. Ho condotto la ricerca a Bologna nel corso del 2003 e del 2004 con due gruppi di donne immigrate, AMISS e Agorà dei Mondi. Non sono aggregazioni etniche, né associazioni di comunità ma reti collettive composte da soggetti di diverse provenienze geografiche e con differenti storie di vita. AMISS ha preso vita nel 2000 e si compone di tredici donne immigrate, ma il percorso di ricerca ne ha coinvolte solo sei: Aferdita, Denise, Ego, Fatima, Sanae, Vichi; Agorà dei Mondi è nata su iniziativa di tre donne, Blagovesta, Sanja, Rebeca, tutte attive nel gruppo e partecipi nella mia ricerca, più una, Tamara, amica delle tre ma esterna all’associazione. Le componenti di entrambi i gruppi si auto/appellano come appartenenti ad associazioni miste e femminili in cui prendono vita il combinarsi di molteplici appartenenze e diverse storie di migrazione, dove ognuna legge sé, e lo spazio relazionale di cui è parte, in termini multiposizionati. Nonostante i tratti comuni, i due gruppi femminili hanno genealogie differenti e nel tempo hanno dato vita a reti di relazioni interne dissimili, maturando diversi rapporti con il contesto locale; nonostante, inoltre, siano entrambi due reti di donne immigrate, producono differenti contro/narrazioni sulle retoriche multiculturali locali. Pur rappresentando una posizione condivisa, il posizionamento di “donna immigrata” non è infatti sufficiente a far nascere realtà omogenee. AMISS e Agorà dei Mondi costruiscono diversi meccanismi di complicità e solidarietà femminile e ognuna, con modalità specifiche, interviene per rimuovere la posizione di debolezza delle donne immigrate a Bologna. Le differenze non si registrano solo fra i due gruppi. All’interno degli stessi, ogni componente produce narrazioni e sguardi sul potere, sul posizionamento di immigrata nella città di accoglienza, dando vita a diverse forme di resistenza. In questo percorso, cerco di combinare insieme almeno due livelli di analisi: le traiettorie delle donne, costruite catturandone la vita quotidiana e rintracciando in esse le autorappresentazioni, le percezioni che i soggetti femminili hanno di se stesse e delle loro vite, nella convinzione che la testimonianza di sé esprima un enorme potenziale politico di trasformazione (Puwar 2003); la creazione di forme femminili di coalizione (Behar 1995:6) a cui le donne danno vita manipolando l’identità di migrante senza renderla una posizione esclusiva. A questo livello, prenderò in esame le dinamiche interne ai due gruppi indagandone le rispettive genealogie, la fantasia di ogni componente rispetto alla propria realtà, le reti di relazioni e “le storie di ordinaria amicizia” nate all’interno delle associazioni. Cercherò, inoltre, di illustrare le modalità con cui le due reti femminili - costruitesi come soggettività collettive - si sono rese visibili nella città, costruendo complicità e reti di solidarietà fra donne immigrate al fine di rimuovere la comune posizione di debolezza da esse occupata. In questo senso, AMISS ed Agorà dei Mondi esprimono una fantasia di emancipazione dalla marginalità e in modi differenti agiscono per intervenire su essa. L’etnografia esplora lo scarto fra rappresentazione/autopercezione ed esprime il tentativo di decostruire il discorso egemonico sulle donne straniere contrapponendo ad esso le narrazioni, l’immagine, la percezione che le attrici hanno di sé e dei loro posizionamenti. Denunciando l’immagine stereotipata e omogenea che il mondo esterno loro riflette, è possibile comprendere come si articolano le loro posizioni: come immigrate occupano posizioni di subalternità, dove socialmente, politicamente, culturalmente sono dominate e costruite come tali (Ong 1995:356); nelle testimonianze di sé e nelle storie del loro vivere quotidiano si mostrano tuttavia consapevoli delle proprie posizioni di marginalità e di debolezza. La consapevolezza, da parte sua, della precarietà sociale, culturale, politica spinge le persone e i gruppi ad impegnarsi per resistervi (Vertovec, Cohen 1999:xix): attraverso microprocessi quotidiani di resistenza (Abu-Lughod 1993) e “il collegarsi insieme delle donne per ridurre la comune posizione di debolezza” (Ferrante 1988) emergono le asimmetrie di potere e, insieme, il desiderio di contribuire ad una rappresentazione antiegemonica della differenza (Ong 1995:351).
BELLAGAMBA, ALICE
donne, immigrazione, soggettività, teoria femminista
M-DEA/01 - DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Italian
18-gen-2006
17
2005/2006
Antropologia della contemporaneità: etnografia delle diversità e delle convergenze culturali
Università degli Studi di Milano-Bicocca
(2006). Marginali e resistenti. Donne migranti a Bologna, reti di relazioni e pratiche di vita quotidiana. (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2006).
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