Gli scienziati umani e sociali – criminologi inclusi – non sempre ritengono necessario riflettere sugli aspetti epistemologici che riguardano le loro discipline. Infatti, le "questioni" epistemologiche, filosofiche, etiche non animano – ma neppure paralizzano – la loro quotidiana attività di studio e di ricerca. E' noto che negli ultimi decenni l’enorme sviluppo e diffusione delle scienze umane ha reso sempre più attuale la questione dell'approfondimento del loro autentico "statuto epistemologico", e cioè del loro valore di conoscenza, della loro scientificità e del loro metodo. Soprattutto a partire dagli anni cinquanta l’annosa discussione dell'autonomia delle scienze umane e sociali e della specifica sfera di competenze, metodi e strumenti che le riguardano, se non si può dire risolta è andata comunque lentamente dipanandosi, Queste affermazioni, almeno per ciò che riguarda la criminologia, possono apparire apodittiche a una mera petizione di principio se si ripensa a ciò che parecchi anni addietro ha scritto un autorevole studioso italiano, laddove sottolineava che le difficoltà e i problemi inerenti al fondamento della scienza criminologica determinano dubbi e disorientamenti tali da rendere del tutto legittima l'affermazione che essa sia ancora lontana dal vedere identificata la propria dimensione conoscitiva. In altre parole, come può dirsi costituito un ambito conoscitivo propriamente criminologico se per studiare le cause del comportamento antisociale e realizzare programmi di prevenzione e trattamento questa disciplina si è costruita, fin dall'epoca positivista, come una scienza sintetica a carattere interdisciplinare e multidisciplinare , che opera a un livello conoscitivo determinato da altre scienze ? Negli ultimi decenni, a onor del vero, i criminologi hanno provato a trasformare le loro riflessioni sulla questione criminale importando metodiche – si pensi per esempio al labelling approach – e avvalendosi di orientamenti di carattere generale, di filosofie e di visioni del mondo – la criminologia radicale e quella critica – molto lontane dall'idea e dall'impostazione figlia, per così dire, del programma positivista. Alla metà degli anni ottanta, però, l'avvento del movimento realista sembra aver restituito centralità e vigore tanto all'analisi eziologica del crimine quanto al momento applicativo della prevenzione. Scandita dunque, ancora una volta, dalla tensione tra il momento dell'analisi eziologica del crimine, quello applicativo della prevenzione e quello che le impone di fornire, attraverso ricerche confezionate ad hoc, dati utili a chi deve prendere decisioni di carattere politico, la criminologia rivela oggi dubbi e smarrimenti che testimoniano, più che in passato, un rinnovato bisogno di certezze teoriche. E' infatti nei periodi caratterizzati da salti di paradigma bruschi e radicali che lo scienziato dell'uomo è condotto a riflettere in modo più compiuto sul rapporto di opposizione tra la scienza, che è oggettiva e teorica, e l'ideologia, che è invece soggettiva e pratica. Ed è proprio in questi momenti di veloce e quasi improvvisa trasformazione degli orizzonti culturali e teorici, della caduta dì certezze ideologiche che avevano espresso il modo in cui si vivevano certi rapporti con le condizioni di esistenza, che una tale pretesa di verità e di esattezza si riversa nella ricerca di uno statuto empirico-oggettivo che, solo, appare idoneo a trattenere la cifra della dignità scientifca. L'ansia e lo smarrimento che deriva dalla perdita delle "certezze ideologiche" si struttura cosi in una vera e propria domanda per un livello più alto di scientificità. L'aspirazione del criminologo si sovrappone e confonde, in tal modo, con il crisma dello scienziato: il suo impegno, molto più che in altri periodi, diviene quello di discutere non solo le questioni di carattere metodologico, ma anche la scientificità delle teorie di cui dispone, e quanto e come sia possibile fondare il proprio sapere sui criteri di demarcazione e di razionalità scientifica definiti dai filosofi della scienza. Detto altrimenti, lo scienziato dell'uomo, il criminologo, torna a chiedersi quanto la sua impresa sia in grado di rifugiarsi nel discorso scientifico. La questione della "criminologia intesa come scienza" diventa – di conseguenza – un'area di discussione sempre più appetibile. 2. Per discutere le modalità con cui la criminologia si è edificata (e si edifica) è apparso anzitutto opportuno all'autore indagare in che modo essa abbia provato a costruire, a partire dai suoi albori, uno strumento atto a conoscere il suo oggetto e a disciplinare i suoi sviluppi. Per la criminologia, come per altre discipline che si affacciavano alla ribalta alla fine del diciannovesimo secolo, lo strumento attraverso cui giudicare le sue realizzazioni concrete è il metodo, un “qualche cosa” che può essere considerato un elemento di separazione tra un prima e un dopo negli sviluppi della conoscenza. In altre parole, la validità del sapere criminologico è data da un criterio di demarcazione per mezzo del quale giudicare la validità delle teorie e delle ipotesi che si vanno ponendo. E' la registrazione di questo fatto che ha condotto l'autore a porre due riflessioni che appaiono centrali nell'economia dello scritto: (a) la criminologia si è fin dalla sua nascita proposta come scienza per cogliere, descrivere, analizzare, definire i fenomeni delinquenziali con lo stesso sguardo dello scienziato, La scienza non ha rapporti con la verità perchè ciò che essa produce sono solo proposizioni esatte cioè ottenute da premesse che sono state anticipate, per cui accostare il soggetto delinquente (sia dal punto di vista individuale che collettivo) in modo scientifico non significa trovare la verità del suo comportamento delinquenziale, ma semplicemente quel risultato che il metodo ha prodotto. La scienza sa di questo limite. Lo sa la criminologia ? E quanto hanno riflettuto i criminologi lungo tutto l'arco della storia della disciplina su questo punto ? (b) Da un punto di vista storico si può dire che la criminologia si è emancipata da altre forme di sapere proprio quando ha manifestato il tentativo di porsi come scienza, tentativo che però si è sempre scontrato con uno strano destino: la scienza e il suo metodo non esauriscono l'universo di ciò che è comprensibile. Adottare questo metodo, affinarlo e aggiornarlo, non significa paradossalmente impedirsi a priori la possibilità di comprendere sfere di senso che sono estranee al gioco della scienza che può parlare solo in presenza di una costanza di ripetizione di null'altro che rientra nello schema ripetitivo con cui decide di leggere i fenomeni (Galimberti)? Secondo l'Autore, quando si discute di criminologia a questa osservazione di carattere generale, valida cioè per ogni scienza dell'uomo (e non), se ne deve affiancare un'altra, che assume dei connotati molto più specifici. La criminologia tradizionale, lo si è già detto, si autodefinisce quale scienza delle cause della criminalità e delle condizioni sociali e individuali che stabiliscono il perimetro della diversità di un soggetto, ovverossia il delinquente. Per cacciare e catturare le cause il criminologo ha provato a servirsi di un metodo scientifico, ma ha sempre affrontato indirettamente il problema epistemologico che è alla base di questa ricerca, e cioè a dire le condizioni di possibilità di una teoria delle cause rispetto ad un oggetto, la criminalità, definito da norme e da valutazioni sociali. Ma, si chiede l'Autore, applicare il modello della ricerca causale-naturalistica a questo oggetto non significa operare una “reificazione” dei risultati delle definizioni ? Ovverossia, l'oggetto non viene considerato come cosa che esiste indipendentemente dalle definizioni stesse? E tutto ciò non occorre effettivamente nella criminologia “tradizionale”, nella quale generalmente le norme e le valutazioni sociali restano fuori dall'oggetto di indagine ? E' senz'altro vero che l'oggettività è il problema permanente della scienza. Anche il criminologo "tradizionale" intende essere il più possibile oggettivo all'interno dello spazio che si assegna. Il fatto è che alla base della sua pretesa c'è la convinzione che le teorie possano essere costruite attribuendo alla criminalità una fisicità e una naturalità primaria, sganciata dal livello costitutivo delle definizioni. 3. La scrittura de l’Orizzonte Artificiale è nata proprio dalla necessità di discutere e confrontare tutti questi problemi per cercare, ancora una volta, nuove strade per sfuggire a certe insidie. Questo lavoro, in altre parole, ha cercato di valutare, alla luce di riflessioni epistemologiche, quali possano essere i nuovi possibili della criminologia. Ma per compiere questa impresa è necessario, secondo l'Autore, partire da un'attenta rivisitazione dei confini che essa si è dati. In tal senso, l'intera prima parte del testo è dedicata a indagare i criteri con cui i criminologi hanno cercato di utilizzare il metodo scientifico per costruire teoriche che attribuiscono alla criminalità una dimensione materiale reificata. E' questo l'orizzonte al cui interno essi hanno lavorato, o entro il quale hanno ricondotto la logica di concetti e teorie importate da altre discipline . La seconda parte del volume è stata costruita in modo speculare rispetto alla prima, nei senso che l'Autore, oltre ad indagare le condizioni di possibilità di teorie sganciate dalla pretesa che attribuisce alla criminalità una fisicità e una naturalità indipendente dal livello costitutivo delle definizioni, ha altresì cercato di comprendere a quali meccanismi e a quali regole ubbidisce l'ordine del discorso criminologico.

Ceretti, A. (2008). El Horizonte Artificial. Problemas epistemològicos de la criminologia. Buenos Aires : Ibidefi.

El Horizonte Artificial. Problemas epistemològicos de la criminologia

CERETTI, ADOLFO
2008

Abstract

Gli scienziati umani e sociali – criminologi inclusi – non sempre ritengono necessario riflettere sugli aspetti epistemologici che riguardano le loro discipline. Infatti, le "questioni" epistemologiche, filosofiche, etiche non animano – ma neppure paralizzano – la loro quotidiana attività di studio e di ricerca. E' noto che negli ultimi decenni l’enorme sviluppo e diffusione delle scienze umane ha reso sempre più attuale la questione dell'approfondimento del loro autentico "statuto epistemologico", e cioè del loro valore di conoscenza, della loro scientificità e del loro metodo. Soprattutto a partire dagli anni cinquanta l’annosa discussione dell'autonomia delle scienze umane e sociali e della specifica sfera di competenze, metodi e strumenti che le riguardano, se non si può dire risolta è andata comunque lentamente dipanandosi, Queste affermazioni, almeno per ciò che riguarda la criminologia, possono apparire apodittiche a una mera petizione di principio se si ripensa a ciò che parecchi anni addietro ha scritto un autorevole studioso italiano, laddove sottolineava che le difficoltà e i problemi inerenti al fondamento della scienza criminologica determinano dubbi e disorientamenti tali da rendere del tutto legittima l'affermazione che essa sia ancora lontana dal vedere identificata la propria dimensione conoscitiva. In altre parole, come può dirsi costituito un ambito conoscitivo propriamente criminologico se per studiare le cause del comportamento antisociale e realizzare programmi di prevenzione e trattamento questa disciplina si è costruita, fin dall'epoca positivista, come una scienza sintetica a carattere interdisciplinare e multidisciplinare , che opera a un livello conoscitivo determinato da altre scienze ? Negli ultimi decenni, a onor del vero, i criminologi hanno provato a trasformare le loro riflessioni sulla questione criminale importando metodiche – si pensi per esempio al labelling approach – e avvalendosi di orientamenti di carattere generale, di filosofie e di visioni del mondo – la criminologia radicale e quella critica – molto lontane dall'idea e dall'impostazione figlia, per così dire, del programma positivista. Alla metà degli anni ottanta, però, l'avvento del movimento realista sembra aver restituito centralità e vigore tanto all'analisi eziologica del crimine quanto al momento applicativo della prevenzione. Scandita dunque, ancora una volta, dalla tensione tra il momento dell'analisi eziologica del crimine, quello applicativo della prevenzione e quello che le impone di fornire, attraverso ricerche confezionate ad hoc, dati utili a chi deve prendere decisioni di carattere politico, la criminologia rivela oggi dubbi e smarrimenti che testimoniano, più che in passato, un rinnovato bisogno di certezze teoriche. E' infatti nei periodi caratterizzati da salti di paradigma bruschi e radicali che lo scienziato dell'uomo è condotto a riflettere in modo più compiuto sul rapporto di opposizione tra la scienza, che è oggettiva e teorica, e l'ideologia, che è invece soggettiva e pratica. Ed è proprio in questi momenti di veloce e quasi improvvisa trasformazione degli orizzonti culturali e teorici, della caduta dì certezze ideologiche che avevano espresso il modo in cui si vivevano certi rapporti con le condizioni di esistenza, che una tale pretesa di verità e di esattezza si riversa nella ricerca di uno statuto empirico-oggettivo che, solo, appare idoneo a trattenere la cifra della dignità scientifca. L'ansia e lo smarrimento che deriva dalla perdita delle "certezze ideologiche" si struttura cosi in una vera e propria domanda per un livello più alto di scientificità. L'aspirazione del criminologo si sovrappone e confonde, in tal modo, con il crisma dello scienziato: il suo impegno, molto più che in altri periodi, diviene quello di discutere non solo le questioni di carattere metodologico, ma anche la scientificità delle teorie di cui dispone, e quanto e come sia possibile fondare il proprio sapere sui criteri di demarcazione e di razionalità scientifica definiti dai filosofi della scienza. Detto altrimenti, lo scienziato dell'uomo, il criminologo, torna a chiedersi quanto la sua impresa sia in grado di rifugiarsi nel discorso scientifico. La questione della "criminologia intesa come scienza" diventa – di conseguenza – un'area di discussione sempre più appetibile. 2. Per discutere le modalità con cui la criminologia si è edificata (e si edifica) è apparso anzitutto opportuno all'autore indagare in che modo essa abbia provato a costruire, a partire dai suoi albori, uno strumento atto a conoscere il suo oggetto e a disciplinare i suoi sviluppi. Per la criminologia, come per altre discipline che si affacciavano alla ribalta alla fine del diciannovesimo secolo, lo strumento attraverso cui giudicare le sue realizzazioni concrete è il metodo, un “qualche cosa” che può essere considerato un elemento di separazione tra un prima e un dopo negli sviluppi della conoscenza. In altre parole, la validità del sapere criminologico è data da un criterio di demarcazione per mezzo del quale giudicare la validità delle teorie e delle ipotesi che si vanno ponendo. E' la registrazione di questo fatto che ha condotto l'autore a porre due riflessioni che appaiono centrali nell'economia dello scritto: (a) la criminologia si è fin dalla sua nascita proposta come scienza per cogliere, descrivere, analizzare, definire i fenomeni delinquenziali con lo stesso sguardo dello scienziato, La scienza non ha rapporti con la verità perchè ciò che essa produce sono solo proposizioni esatte cioè ottenute da premesse che sono state anticipate, per cui accostare il soggetto delinquente (sia dal punto di vista individuale che collettivo) in modo scientifico non significa trovare la verità del suo comportamento delinquenziale, ma semplicemente quel risultato che il metodo ha prodotto. La scienza sa di questo limite. Lo sa la criminologia ? E quanto hanno riflettuto i criminologi lungo tutto l'arco della storia della disciplina su questo punto ? (b) Da un punto di vista storico si può dire che la criminologia si è emancipata da altre forme di sapere proprio quando ha manifestato il tentativo di porsi come scienza, tentativo che però si è sempre scontrato con uno strano destino: la scienza e il suo metodo non esauriscono l'universo di ciò che è comprensibile. Adottare questo metodo, affinarlo e aggiornarlo, non significa paradossalmente impedirsi a priori la possibilità di comprendere sfere di senso che sono estranee al gioco della scienza che può parlare solo in presenza di una costanza di ripetizione di null'altro che rientra nello schema ripetitivo con cui decide di leggere i fenomeni (Galimberti)? Secondo l'Autore, quando si discute di criminologia a questa osservazione di carattere generale, valida cioè per ogni scienza dell'uomo (e non), se ne deve affiancare un'altra, che assume dei connotati molto più specifici. La criminologia tradizionale, lo si è già detto, si autodefinisce quale scienza delle cause della criminalità e delle condizioni sociali e individuali che stabiliscono il perimetro della diversità di un soggetto, ovverossia il delinquente. Per cacciare e catturare le cause il criminologo ha provato a servirsi di un metodo scientifico, ma ha sempre affrontato indirettamente il problema epistemologico che è alla base di questa ricerca, e cioè a dire le condizioni di possibilità di una teoria delle cause rispetto ad un oggetto, la criminalità, definito da norme e da valutazioni sociali. Ma, si chiede l'Autore, applicare il modello della ricerca causale-naturalistica a questo oggetto non significa operare una “reificazione” dei risultati delle definizioni ? Ovverossia, l'oggetto non viene considerato come cosa che esiste indipendentemente dalle definizioni stesse? E tutto ciò non occorre effettivamente nella criminologia “tradizionale”, nella quale generalmente le norme e le valutazioni sociali restano fuori dall'oggetto di indagine ? E' senz'altro vero che l'oggettività è il problema permanente della scienza. Anche il criminologo "tradizionale" intende essere il più possibile oggettivo all'interno dello spazio che si assegna. Il fatto è che alla base della sua pretesa c'è la convinzione che le teorie possano essere costruite attribuendo alla criminalità una fisicità e una naturalità primaria, sganciata dal livello costitutivo delle definizioni. 3. La scrittura de l’Orizzonte Artificiale è nata proprio dalla necessità di discutere e confrontare tutti questi problemi per cercare, ancora una volta, nuove strade per sfuggire a certe insidie. Questo lavoro, in altre parole, ha cercato di valutare, alla luce di riflessioni epistemologiche, quali possano essere i nuovi possibili della criminologia. Ma per compiere questa impresa è necessario, secondo l'Autore, partire da un'attenta rivisitazione dei confini che essa si è dati. In tal senso, l'intera prima parte del testo è dedicata a indagare i criteri con cui i criminologi hanno cercato di utilizzare il metodo scientifico per costruire teoriche che attribuiscono alla criminalità una dimensione materiale reificata. E' questo l'orizzonte al cui interno essi hanno lavorato, o entro il quale hanno ricondotto la logica di concetti e teorie importate da altre discipline . La seconda parte del volume è stata costruita in modo speculare rispetto alla prima, nei senso che l'Autore, oltre ad indagare le condizioni di possibilità di teorie sganciate dalla pretesa che attribuisce alla criminalità una fisicità e una naturalità indipendente dal livello costitutivo delle definizioni, ha altresì cercato di comprendere a quali meccanismi e a quali regole ubbidisce l'ordine del discorso criminologico.
Monografia o trattato scientifico - Monografia di Ricerca - Prima edizione
epistemologia, criminologia
Spanish; Castilian
2008
9789974676084
Ibidefi
397
Ceretti, A. (2008). El Horizonte Artificial. Problemas epistemològicos de la criminologia. Buenos Aires : Ibidefi.
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