Qual è il “male minore”? Questo interrogativo rappresenta, forse, una delle principali domande che l’educatore e/o l’insegnante impegnato professionalmente ad operare nei luoghi educativi con bambine/i e adolescenti si trova ad affrontare, ogni qual volta è chiamato ad assumere la difficile responsabilità di una decisione che riguarda, per l’appunto, il “minore”, o meglio il suo futuro più o meno prossimo, in rapporto alla famiglia, alla scuola, alla comunità sociale nel suo complesso. Il male minore, che intendiamo considerare qui, nella maggior parte dei casi, è la risultante di un processo decisionale in cui vengono soppesate e misurate le conseguenze di un atto formale, secondo una scala di gradazione della gravità del medesimo, reso necessario dall’inadeguatezza, dalla non conformità, dall’irregolarità del comportamento agito o subito dal minore, e che in ogni caso richiede un intervento di cui il minore è l’oggetto preminente. Spesso quella decisione si rende ineluttabile perché i fatti che la precedono sono eclatanti e tali da innescare una sequenza di effetti prestabiliti rispetto al contesto educativo in cui si sono prodotti; altre volte essa è resa necessaria e obbligatoria dagli effetti legislativi che investono il ruolo anche giuridico dell’educatore e/o dell’insegnante; in moltissimi altri casi, però, la “difficile responsabilità” da assumere riguarda la quotidianità delle condotte irregolari che attraversano le relazioni, gli spazi, gli oggetti che regolano l’accadere materiale della scena educativa, e che sempre di più evocano l’urgenza di risposte di regolamentazione. Il minore dei mali appare così come la ricerca di “quella” risposta che, in nome di un principio di responsabilità educativa, di una fondamentale attenzione alle effettive necessità del soggetto, della sua tutela e della sua salvaguardia, possa contemporaneamente preservare e salvaguardare il contesto educativo stesso, la comunità sociale, il sistema nel suo complesso dal pericolo emergente dall’irregolarità; una risposta, cioè, che possa produrre effetti di normalizzazione. La ricerca del minore dei mali si traduce per questa ragione, molto spesso, in un alibi che nasconde agli occhi dell’educatore e dell’insegnante un assunto pedagogico fondamentale: l’interconnessione esistente tra problematizzazione morale, codificazione sociale e trattamento educativo. È propriamente questa la miopia pedagogica che proviamo ad evidenziare nella tematizzazione della diagnosi delle condotte irregolari nei contesti educativi. In questo saggio si è tentato di operare una breve archeologia discorsiva della diagnosi del minore come “soggetto irregolare”, che ha permesso di rintracciare il filo rosso che unisce la sollecitudine medica e psichiatrica del XIX secolo nel descrivere con grande minuzia di particolari, all’interno delle perizie medico-legali, le abitudini comportamentali e le attitudini morali di un soggetto, fin dalla sua minore età, alla sollecitudine psicologica e pedagogica del XX secolo nel mettere sotto osservazione con altrettanta dovizia descrittiva, all’interno delle relazioni psico-pedagogiche, le modalità comportamentali e le capacità relazionali del minore, fino alla definizione di un profilo psico-sociale che sfocia frequentemente in una pseudo-diagnosi che accompagna il soggetto lungo il suo iter formativo. L’esito di tale indagine ci ha condotti ad affermare l’inadeguatezza e i rischi di oggettivazione delle procedure conoscitive applicate al campo dell’educazione minorile sulla base dell’osservazione scientifica della personalità di origine medico-psichiatrica.

Barone, P. (2005). Minorità e soggetto irregolare: alla radice della diagnosi nei contesti educativi. In C. Palmieri, G. Prada (a cura di), La diagnosi educativa. La questione della conoscenza del soggetto nelle pratiche pedagogiche (pp. 145-160). Milano : FrancoAngeli.

Minorità e soggetto irregolare: alla radice della diagnosi nei contesti educativi

BARONE, PIERANGELO
2005

Abstract

Qual è il “male minore”? Questo interrogativo rappresenta, forse, una delle principali domande che l’educatore e/o l’insegnante impegnato professionalmente ad operare nei luoghi educativi con bambine/i e adolescenti si trova ad affrontare, ogni qual volta è chiamato ad assumere la difficile responsabilità di una decisione che riguarda, per l’appunto, il “minore”, o meglio il suo futuro più o meno prossimo, in rapporto alla famiglia, alla scuola, alla comunità sociale nel suo complesso. Il male minore, che intendiamo considerare qui, nella maggior parte dei casi, è la risultante di un processo decisionale in cui vengono soppesate e misurate le conseguenze di un atto formale, secondo una scala di gradazione della gravità del medesimo, reso necessario dall’inadeguatezza, dalla non conformità, dall’irregolarità del comportamento agito o subito dal minore, e che in ogni caso richiede un intervento di cui il minore è l’oggetto preminente. Spesso quella decisione si rende ineluttabile perché i fatti che la precedono sono eclatanti e tali da innescare una sequenza di effetti prestabiliti rispetto al contesto educativo in cui si sono prodotti; altre volte essa è resa necessaria e obbligatoria dagli effetti legislativi che investono il ruolo anche giuridico dell’educatore e/o dell’insegnante; in moltissimi altri casi, però, la “difficile responsabilità” da assumere riguarda la quotidianità delle condotte irregolari che attraversano le relazioni, gli spazi, gli oggetti che regolano l’accadere materiale della scena educativa, e che sempre di più evocano l’urgenza di risposte di regolamentazione. Il minore dei mali appare così come la ricerca di “quella” risposta che, in nome di un principio di responsabilità educativa, di una fondamentale attenzione alle effettive necessità del soggetto, della sua tutela e della sua salvaguardia, possa contemporaneamente preservare e salvaguardare il contesto educativo stesso, la comunità sociale, il sistema nel suo complesso dal pericolo emergente dall’irregolarità; una risposta, cioè, che possa produrre effetti di normalizzazione. La ricerca del minore dei mali si traduce per questa ragione, molto spesso, in un alibi che nasconde agli occhi dell’educatore e dell’insegnante un assunto pedagogico fondamentale: l’interconnessione esistente tra problematizzazione morale, codificazione sociale e trattamento educativo. È propriamente questa la miopia pedagogica che proviamo ad evidenziare nella tematizzazione della diagnosi delle condotte irregolari nei contesti educativi. In questo saggio si è tentato di operare una breve archeologia discorsiva della diagnosi del minore come “soggetto irregolare”, che ha permesso di rintracciare il filo rosso che unisce la sollecitudine medica e psichiatrica del XIX secolo nel descrivere con grande minuzia di particolari, all’interno delle perizie medico-legali, le abitudini comportamentali e le attitudini morali di un soggetto, fin dalla sua minore età, alla sollecitudine psicologica e pedagogica del XX secolo nel mettere sotto osservazione con altrettanta dovizia descrittiva, all’interno delle relazioni psico-pedagogiche, le modalità comportamentali e le capacità relazionali del minore, fino alla definizione di un profilo psico-sociale che sfocia frequentemente in una pseudo-diagnosi che accompagna il soggetto lungo il suo iter formativo. L’esito di tale indagine ci ha condotti ad affermare l’inadeguatezza e i rischi di oggettivazione delle procedure conoscitive applicate al campo dell’educazione minorile sulla base dell’osservazione scientifica della personalità di origine medico-psichiatrica.
Capitolo o saggio
Archeologia della devianza; minorità; psichiatrizzazione della minorità
Italian
La diagnosi educativa. La questione della conoscenza del soggetto nelle pratiche pedagogiche
Palmieri, C; Prada, G
2005
9788846467881
FrancoAngeli
145
160
Barone, P. (2005). Minorità e soggetto irregolare: alla radice della diagnosi nei contesti educativi. In C. Palmieri, G. Prada (a cura di), La diagnosi educativa. La questione della conoscenza del soggetto nelle pratiche pedagogiche (pp. 145-160). Milano : FrancoAngeli.
none
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