Dalla scoperta, avvenuta nel 1949, che l’anemia falciforme è causata da una molecola difettosa di emoglobina di strada in campo genetico se ne è percorsa molta e con diversi e fruttuosi risultati. Grazie soprattutto alla forte pubblicizzazione delle scoperte avvenute in questo particolare ambito di ricerca, diversi termini tecnici, appartenenti al linguaggio della scienza genetica, ad esempio ‘gene’, ‘terapia genica’, ‘clonazione’ ecc., sono noti al grande pubblico. Proprio il contributo mediatico alla diffusione delle scoperte in campo genetico, se, da una parte, ha permesso a molti di venire a conoscenza delle possibilità che, oggi, la tecnologia e la scienza mettono a disposizione per migliorare la qualità della vita di ognuno, ha, dall’altra parte, concorso a ingenerare una certa confusione sul tema. In particolare, rispetto a due principi a cui si fa appello, quando si parla di biobanche e informazioni genetiche: il principio di autonomia e quello di solidarietà. In breve, l’oscillazione tra un saluto entusiasta alle nuove scoperte e acquisizioni in campo genetico e un allarmismo sfociante quasi in una condanna delle stesse, lungi dal favorire un’equilibrata visione delle opportunità offerte dalla genetica, ha determinato l’attuale torre di Babele, in cui “le parole perspicue”, di cui parla Hobbes, si sono perse lungo il percorso. Nell’era delle c.d. biobanche, tra le questioni etico-giuridiche più dibattute, di particolare importanza risultano quelle relative alla conservazione di materiali biologici e alla circolazione delle informazioni in essi contenute. Considerata dalla prospettiva dell’individuo, ad esempio, la conoscenza dell’informazione genetica si associa, per lo più, allo spettro della malattia genetica, di certa o probabile manifestazione, che rischia di modificare sostanzialmente la sua vita, sia rispetto alla percezione del proprio sé -e quindi con riferimento allo sviluppo della propria personalità-, sia rispetto alle scelte di vita che in taluni casi coinvolgono anche terzi, ad esempio in materia riproduttiva. Con riferimento alla cessione e conservazione del materiale biologico, gli aspetti che più suscitano accese polemiche riguardano le modalità di cessione (donazione o con una qualche forma di remunerazione) e le modalità di conservazione (anonimizzazione totale, parziale o identificazione completa). Sul fronte della responsabilità sociale e degli impegni politici, la circolazione delle informazioni genetiche solleva problemi legati alla corretta raccolta, gestione e impiego di tali informazioni. In questo contesto, il rischio da affrontare riguarda l’uso a fini discriminatori nei confronti sia di singoli sia di gruppi etnici a causa delle loro caratteristiche genetiche. Come è noto, ormai da anni, la conoscenza delle informazioni genetiche relative a individui, gruppi etnici o intere popolazioni non interessa solo questi ultimi, ma diversi attori presenti sulla scena pubblica -Stato, enti pubblici, assicurazioni, datori di lavoro, mondo scientifico- e attorno a tali informazioni ruotano spesso enormi interessi economici. Non si tratta di questioni nuove. C’è, però, un rinnovato interesse per questi argomenti a seguito della repentina diffusione, iniziata in anni passati, senza grande controllo giuridico del fenomeno, di enti di raccolta e di gestione di materiali biologici umani e delle correlative informazioni e aventi diverse finalità (ricerca medica, uso forense ecc.). Il proliferare di questi enti pone alcune problematiche etico-giuridiche di non semplice soluzione. Da bilanciare, ad esempio, vi sono l’interesse, già riconosciuto come diritto alla privacy del singolo rispetto al diritto della ricerca medica di effettuare le necessarie sperimentazioni e pubblicare i relativi dati, o ancora l’interesse della collettività ad un impiego dei risultati delle scoperte scientifiche per migliorare la qualità della vita e non a fini di speculazione economica, il problema di stabilire delle modalità di acquisizione del consenso informato che garantiscano i diritti dell’individuo e siano al tempo stesso praticabili. Le questioni in gioco sono, pertanto, molte e diverse sono anche le ricadute sia sul piano individuale, sia sociale a seconda della scelta effettuata sia in merito alla gestione dei campioni biologici, sia in merito alle informazioni da essi derivanti. Per un verso, infatti, vi è il diritto, giuridicamente riconosciuto, dell’individuo alla tutela della propria autodeterminazione, espressa attraverso un consenso informato che non sia un blanket informed consent. Per altro verso, vi sono gli interessi, sociali e di ricerca scientifica, alla donazione di materiali biologici e ad un allargamento del loro impiego oltre il semplice caso in esame, per il benessere dell’umanità o, come si usa dire, della ‘famiglia umana’. È con riferimento a questi interessi ‘altri’ che si fa appello al principio di solidarietà. Il principio di solidarietà e quello di autodeterminazione sono in un rapporto di tensione, dato che l’eccessiva estensione dell’uno rischia di limitare fortemente il raggio d’azione dell’altro. Al fine di ridimensionare tale tensione, entra in gioco, tra gli altri, il principio di gratuità, sancito in numerose disposizioni, tra i cui fini vi sarebbe quello di garantire la libertà e la spontaneità delle donazioni, non intaccando così il principio di autodeterminiazione. Il principio di gratuità, assieme ad una rivisitazione del consenso informato, ha ispirato l’elaborazione di diverse linee guida in tema di biobanche e di trattamento dei campioni biologici. Ma, sono davvero superate le tensioni tra autodeterminazione e solidarietà? Non ci sono forse tentativi di svuotamento del principio di autodeterminazione attraverso interpretazioni estensive e non esplicitate del principio di gratuità? A queste domande si cercherà di rispondere nel contributo con l’ausilio dell’analisi filosofico-giuridica (della filosofia del diritto di orientamento analitico-linguistico) degli orientamenti etico-filosofici e dei testi normativi oggi disponibili sul tema.

Salardi, S. (2012). Il principio di gratuità nell’era delle biobanche tra solidarietà e autonomia. Intervento presentato a: Il dono e lo Stato: legame interpersonale e sociale, Palermo.

Il principio di gratuità nell’era delle biobanche tra solidarietà e autonomia

SALARDI, SILVIA
2012

Abstract

Dalla scoperta, avvenuta nel 1949, che l’anemia falciforme è causata da una molecola difettosa di emoglobina di strada in campo genetico se ne è percorsa molta e con diversi e fruttuosi risultati. Grazie soprattutto alla forte pubblicizzazione delle scoperte avvenute in questo particolare ambito di ricerca, diversi termini tecnici, appartenenti al linguaggio della scienza genetica, ad esempio ‘gene’, ‘terapia genica’, ‘clonazione’ ecc., sono noti al grande pubblico. Proprio il contributo mediatico alla diffusione delle scoperte in campo genetico, se, da una parte, ha permesso a molti di venire a conoscenza delle possibilità che, oggi, la tecnologia e la scienza mettono a disposizione per migliorare la qualità della vita di ognuno, ha, dall’altra parte, concorso a ingenerare una certa confusione sul tema. In particolare, rispetto a due principi a cui si fa appello, quando si parla di biobanche e informazioni genetiche: il principio di autonomia e quello di solidarietà. In breve, l’oscillazione tra un saluto entusiasta alle nuove scoperte e acquisizioni in campo genetico e un allarmismo sfociante quasi in una condanna delle stesse, lungi dal favorire un’equilibrata visione delle opportunità offerte dalla genetica, ha determinato l’attuale torre di Babele, in cui “le parole perspicue”, di cui parla Hobbes, si sono perse lungo il percorso. Nell’era delle c.d. biobanche, tra le questioni etico-giuridiche più dibattute, di particolare importanza risultano quelle relative alla conservazione di materiali biologici e alla circolazione delle informazioni in essi contenute. Considerata dalla prospettiva dell’individuo, ad esempio, la conoscenza dell’informazione genetica si associa, per lo più, allo spettro della malattia genetica, di certa o probabile manifestazione, che rischia di modificare sostanzialmente la sua vita, sia rispetto alla percezione del proprio sé -e quindi con riferimento allo sviluppo della propria personalità-, sia rispetto alle scelte di vita che in taluni casi coinvolgono anche terzi, ad esempio in materia riproduttiva. Con riferimento alla cessione e conservazione del materiale biologico, gli aspetti che più suscitano accese polemiche riguardano le modalità di cessione (donazione o con una qualche forma di remunerazione) e le modalità di conservazione (anonimizzazione totale, parziale o identificazione completa). Sul fronte della responsabilità sociale e degli impegni politici, la circolazione delle informazioni genetiche solleva problemi legati alla corretta raccolta, gestione e impiego di tali informazioni. In questo contesto, il rischio da affrontare riguarda l’uso a fini discriminatori nei confronti sia di singoli sia di gruppi etnici a causa delle loro caratteristiche genetiche. Come è noto, ormai da anni, la conoscenza delle informazioni genetiche relative a individui, gruppi etnici o intere popolazioni non interessa solo questi ultimi, ma diversi attori presenti sulla scena pubblica -Stato, enti pubblici, assicurazioni, datori di lavoro, mondo scientifico- e attorno a tali informazioni ruotano spesso enormi interessi economici. Non si tratta di questioni nuove. C’è, però, un rinnovato interesse per questi argomenti a seguito della repentina diffusione, iniziata in anni passati, senza grande controllo giuridico del fenomeno, di enti di raccolta e di gestione di materiali biologici umani e delle correlative informazioni e aventi diverse finalità (ricerca medica, uso forense ecc.). Il proliferare di questi enti pone alcune problematiche etico-giuridiche di non semplice soluzione. Da bilanciare, ad esempio, vi sono l’interesse, già riconosciuto come diritto alla privacy del singolo rispetto al diritto della ricerca medica di effettuare le necessarie sperimentazioni e pubblicare i relativi dati, o ancora l’interesse della collettività ad un impiego dei risultati delle scoperte scientifiche per migliorare la qualità della vita e non a fini di speculazione economica, il problema di stabilire delle modalità di acquisizione del consenso informato che garantiscano i diritti dell’individuo e siano al tempo stesso praticabili. Le questioni in gioco sono, pertanto, molte e diverse sono anche le ricadute sia sul piano individuale, sia sociale a seconda della scelta effettuata sia in merito alla gestione dei campioni biologici, sia in merito alle informazioni da essi derivanti. Per un verso, infatti, vi è il diritto, giuridicamente riconosciuto, dell’individuo alla tutela della propria autodeterminazione, espressa attraverso un consenso informato che non sia un blanket informed consent. Per altro verso, vi sono gli interessi, sociali e di ricerca scientifica, alla donazione di materiali biologici e ad un allargamento del loro impiego oltre il semplice caso in esame, per il benessere dell’umanità o, come si usa dire, della ‘famiglia umana’. È con riferimento a questi interessi ‘altri’ che si fa appello al principio di solidarietà. Il principio di solidarietà e quello di autodeterminazione sono in un rapporto di tensione, dato che l’eccessiva estensione dell’uno rischia di limitare fortemente il raggio d’azione dell’altro. Al fine di ridimensionare tale tensione, entra in gioco, tra gli altri, il principio di gratuità, sancito in numerose disposizioni, tra i cui fini vi sarebbe quello di garantire la libertà e la spontaneità delle donazioni, non intaccando così il principio di autodeterminiazione. Il principio di gratuità, assieme ad una rivisitazione del consenso informato, ha ispirato l’elaborazione di diverse linee guida in tema di biobanche e di trattamento dei campioni biologici. Ma, sono davvero superate le tensioni tra autodeterminazione e solidarietà? Non ci sono forse tentativi di svuotamento del principio di autodeterminazione attraverso interpretazioni estensive e non esplicitate del principio di gratuità? A queste domande si cercherà di rispondere nel contributo con l’ausilio dell’analisi filosofico-giuridica (della filosofia del diritto di orientamento analitico-linguistico) degli orientamenti etico-filosofici e dei testi normativi oggi disponibili sul tema.
slide
dono, principio di gratuità, biobanche, filosofia del diritto, bioetica
Italian
Il dono e lo Stato: legame interpersonale e sociale
2012
2012
none
Salardi, S. (2012). Il principio di gratuità nell’era delle biobanche tra solidarietà e autonomia. Intervento presentato a: Il dono e lo Stato: legame interpersonale e sociale, Palermo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/46818
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