Lo studio della giurisprudenza in tema di contratto a termine ex d.lgs. n. 368 del 2001, e successive modifiche, evidenzia numerosi e importanti contributi in merito all’interpretazione della generale disciplina di apposizione del limite di durata. Così, in particolare, per quanto concerne alcuni dei suoi aspetti dai profili incerti e, che, tuttavia, ben possono essere assunti a elementi cardine del sistema delineato dalla legge delegata citata. A questo proposito, a venire in considerazione è, emblematicamente, l’art. 1, comma 1, del d.lgs. citato che, secondo la giurisprudenza non ha affatto inteso derogare alla regola dell’indeterminatezza della durata del vincolo contrattuale. Appare, infatti, evidente come per i giudici la legge italiana, in attuazione della direttiva 1999/70/Ce, abbia voluto impedire un uso arbitrario e disinvolto di questa figura contrattuale, scegliendo di sottoporre ogni singolo contratto, così sia il primo, sia quelli che si succedono, alla sussistenza e alla necessaria esplicitazione scritta delle ragioni, oggettive e temporanee, necessarie. Occorre, inoltre, sottolineare come la giurisprudenza sia pervenuta ad analoghe conclusioni per quanto concerne sia, in coerenza al mutato quadro legislativo, le causali di fonte collettiva richiamate dal contratto individuale per l’assunzione di contratti a termine, sia, benché non siano mancate sentenze in senso contrario, le ipotesi di tipizzazione ex ante stabilite dal legislatore, per il settore aereo, al di fuori del limite massimo di sei mesi compreso tra aprile e ottobre (v. art. 2, comma 1, d.lgs. citato) e, per il settore delle Poste, in tutte le fattispecie di cui al comma 1-bis, art. 2, d.lgs. citato. Infine, altre importanti acquisizioni giurisprudenziali sono poi quelle che, pur in assenza di una specifica disciplina sul punto nella legge delegata del 2001, attengono: i requisiti di forma di apposizione del termine; a chi spetti, in caso di controversia giudiziale, l’onere di provare i motivi che fondano il limite di durata, e le conseguenze sanzionatorie che si determinano a seguito della violazione della disciplina nella materia in oggetto. Peraltro, si tratta in tutti i casi di soluzioni che erano già emerse nella giurisprudenza e che, quindi si pongono in stretta continuità con gli orientamenti dei giudici originatisi nella vigenza del precedente quadro legislativo delineato dalla l. n. 230 del 1962.

Vettor, T. (2008). Il lavoro a tempo determinato negli orientamenti della giurisprudenza post D.lgs. n. 368 del 2001 e successive modifiche. ADL. ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO, 13(2), 605-621.

Il lavoro a tempo determinato negli orientamenti della giurisprudenza post D.lgs. n. 368 del 2001 e successive modifiche

VETTOR, TIZIANA
2008

Abstract

Lo studio della giurisprudenza in tema di contratto a termine ex d.lgs. n. 368 del 2001, e successive modifiche, evidenzia numerosi e importanti contributi in merito all’interpretazione della generale disciplina di apposizione del limite di durata. Così, in particolare, per quanto concerne alcuni dei suoi aspetti dai profili incerti e, che, tuttavia, ben possono essere assunti a elementi cardine del sistema delineato dalla legge delegata citata. A questo proposito, a venire in considerazione è, emblematicamente, l’art. 1, comma 1, del d.lgs. citato che, secondo la giurisprudenza non ha affatto inteso derogare alla regola dell’indeterminatezza della durata del vincolo contrattuale. Appare, infatti, evidente come per i giudici la legge italiana, in attuazione della direttiva 1999/70/Ce, abbia voluto impedire un uso arbitrario e disinvolto di questa figura contrattuale, scegliendo di sottoporre ogni singolo contratto, così sia il primo, sia quelli che si succedono, alla sussistenza e alla necessaria esplicitazione scritta delle ragioni, oggettive e temporanee, necessarie. Occorre, inoltre, sottolineare come la giurisprudenza sia pervenuta ad analoghe conclusioni per quanto concerne sia, in coerenza al mutato quadro legislativo, le causali di fonte collettiva richiamate dal contratto individuale per l’assunzione di contratti a termine, sia, benché non siano mancate sentenze in senso contrario, le ipotesi di tipizzazione ex ante stabilite dal legislatore, per il settore aereo, al di fuori del limite massimo di sei mesi compreso tra aprile e ottobre (v. art. 2, comma 1, d.lgs. citato) e, per il settore delle Poste, in tutte le fattispecie di cui al comma 1-bis, art. 2, d.lgs. citato. Infine, altre importanti acquisizioni giurisprudenziali sono poi quelle che, pur in assenza di una specifica disciplina sul punto nella legge delegata del 2001, attengono: i requisiti di forma di apposizione del termine; a chi spetti, in caso di controversia giudiziale, l’onere di provare i motivi che fondano il limite di durata, e le conseguenze sanzionatorie che si determinano a seguito della violazione della disciplina nella materia in oggetto. Peraltro, si tratta in tutti i casi di soluzioni che erano già emerse nella giurisprudenza e che, quindi si pongono in stretta continuità con gli orientamenti dei giudici originatisi nella vigenza del precedente quadro legislativo delineato dalla l. n. 230 del 1962.
Articolo in rivista - Articolo scientifico
Lavoro a termine
Italian
2008
13
2
605
621
none
Vettor, T. (2008). Il lavoro a tempo determinato negli orientamenti della giurisprudenza post D.lgs. n. 368 del 2001 e successive modifiche. ADL. ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO, 13(2), 605-621.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/12230
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